Abdul Moimême ‘Mekhaanu (La forêt des mécanismes sauvages)’

(insubordinations Label 2012)

Lisbona non è mai stata avara di musicisti interessanti per quando riguarda l’ambito impro più o meno elettroacustico, Rafael Toral, Manuel Mota, Ernesto Rodrigues, David Maranha, Margarida Garcia, tanto per fare qualche nome, e adesso nella mia personale checklist, anche il chitarrista Abdul Moimême. Tra l’altro si tratta di una scena a cui sono particolarmente affezionato, in buona parte grazie ad alcuni lavori di Toral, nello specifico ‘Wave Field’ e ancora di più il magnifico ed enigmatico mondo in divenire contenuto in ‘Aeriola Frequency’.
Il setup utilizzato è molto scarno, elemento questo in forte contrasto con la massa di suoni contenuti in questo cd, giusto un paio di chitarre elettroniche preparate, una Fender Stratocaster e una realizzata dallo stesso autore, due amplificatori e un pre-amplificatore. Tutto qui. Nessuno utilizzo di ulteriore elettronica o effettistica per suoni che nella loro totalità derivano dalle risonanze generate dalla manipolazione e dell’interazione di chitarre e oggetti. Sistema frequenziale che sembra quasi di vedere evocato dal musicista nell’esplorazione delle proprietà acustiche dei mezzi impiegati. Anche se al solo sentire parlare di chitarre preparate è ovvio pensare subito al nome di Keith Rowe, in realtà le affinità sono ben poche. La musica del maestro inglese oltre ad essersi completamente emancipata nel tempo dalla genealogia acustica della chitarra, ha una suo nervosismo, un suo scavare emotivo spesso anche ‘feroce’ che qui è totalmente assente, mentre sopravvivono inequivocabili tracce di presenza chitarristica sia pure nelle sue elementari componenti atomiche. Il risultato è un notevole soundscape di forme, di eruzioni, di ombre, di pulsioni e pulsazioni che si muovono libere da costrizioni, a volte in maniera quasi indipendente dalla volontà dell’artista e dalle cui mano sfuggono per reclamare la propria esistenza e invadere l’ambiente: un microcosmo fertile di suggestioni quasi tattili a disposizione dell’ascoltatore nel quale è facile perdersi. A dispetto delle premesse concettuali di Moimême, il lavoro industriale con i suoi meccanismi in movimento, non manca una forte componente visceralmente drammatica e direi quasi sensuale a questi suoni. Forse sarà l’humus culturale della città di Lisbona, con i suoi colori pastello/ocra e le note del fado, che inevitabilmente (e fortunatamente) marchia indelebilmente un po’ tutti i musicisti citati all’inizio, per quanto questi vadano ad operare al di là degli stereotipi, per cui anche qui il tutto sembra intinto di vita con i suoi molteplici umori. Se parliamo di crudeli macchine industriali quello che invece traspare è la malinconia e la tristezza delle stesse, impregnate di sudore e lacrime, e non certo le ‘magnifiche e progressive sorti’ del capitalismo. Come sempre per le produzioni dell’etichetta insubordinations l’opera è disponibile nella forma di download gratuito o su regolare cd.

Voto: 7

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