Quasiviri

Quattro Chiacchiere Digitali con i Quasiviri

 

 

 

 

 

Di Marco Paolucci

uccio12@hotmail.com

10/06/2012: Nuova puntata di Quattro Chiacchiere Digitali, questa volta con la band Quasiviri. La dedica è dovuta perché loro sono un trio di musicisti folli, clowneschi, virtuosi dello strumento, che non si fermano davanti a nulla e nessuno. Capaci di passare dal prog al metal verso lidi inenarrabili di alienanti suoni, si rivelano alla conta delle domande simpaticissimi e più che meritevoli di attenzione. Constatatelo leggendo l’intervista, andandovi a sentire i loro dischi e poi mi direte:

1.       Da dove viene ognuno di voi? Come avete iniziato? Come vi è venuta l’idea di formare una band?

André: Sono figlio di venezuelani trapiantati in Canada, poi il mio naso mi ha portato in Italia, dove tutti quanti mi guardano perplessi e mi chiedono “come mai?”. Ma fa cosi schifo l’Italia? A me sembra di no. L’idea era di Chet che si stava annoiando a suonare una nota ogni 10 secondi con i Ronin.

Robi: Io sono di Cernusco sul Naviglio e sono stato contattato e contagiato dall’idea di Chet!

Chet: Roberto l’ho conosciuto quando suonavo nei Pin Pin Sugar e lui nei R.U.N.I., era il 1999. Un mese dopo Bruno Dorella ha organizzato un concerto delle due band insieme a Vigevano e da allora ci siamo considerati come cugini. Fino ad arrivare a creare un mostro che univa le due band, i Pin Pin Runi, con cui abbiamo fatto due concerti. Due batterie, due bassi, due chitarre, synth e sax, suonavamo insieme pezzi di entrambi i gruppi, era devastante. Facevamo anche una cover di Andamento Lento di Tullio De Piscopo. I Pin Pin Sugar di sono sciolti nel 2005 e io ho continuato a suonare solo nei Ronin. Io e Roberto avevamo voglia di fare un gruppo, avevamo provato a formare un duo, a un certo punto lui suonava la batteria, io il basso e una tastiera Casio con i piedi. Diciamo che eravamo piuttosto acerbi e Robi era senza dubbio meglio impiegato al synth. Nel frattempo avevo conosciuto André, era arrivato in Italia da poco e non sapevo nemmeno che suonasse. Quando ho scoperto che suonava la batteria, che aveva dei bei dischi, abbiamo iniziato a frequentarci e parlare di fare un duo basso e batteria. Finché non ho fatto 1+1. Ero sicuro che Roberto e André si sarebbero piaciuti e abbiamo organizzato una prova. Si sono conosciuti in saletta con gli strumenti in mano e ha funzionato di brutto!

2.     Quali sono state le vostre influenze?

Chet: Non abbiamo iniziato a suonare pensando a band di riferimento, ma è abbastanza inevitabile che quello che ascolti ti rimanga incastrato da qualche parte. Avevamo piuttosto un’idea di suono, volevamo suonare epici e cantare in coro, come se i nostri pezzi fossero inni. Mi pare che siamo riusciti nell’intento e in più abbiamo preso strade inaspettate piuttosto soddisfacenti. Praticamente chiunque abbia ascoltato i nostri due dischi ha citato i Trans AM, che non avevamo assolutamente in mente, anche se a freddo ammetto che il paragone è sensato. Roberto mi sa che un po’ li ha sempre in mente. Altri hanno sottolineato il nostro stampo prog. Ma non abbiamo mai pensato di suonare prog. Io ho ascoltato cose come Area, Caravan, Soft Machine, Gong e Gentle Giant, ma ad esempio mi sento più influenzato dai Laddio Bolocko, a cui non somigliamo molto. O anche da The USAisaMonster. Io vedo anche punti di contatto con Umberto Tozzi.

Robi: Mi ha fatto volare via ‘Pomme Fritz’ degli Orb. Poi i Residents e i Can mi hanno sempre procurato un’invidia pazzesca.

André:
Per me Bach, Rachmaninoff, Primus, Rush, Mongo Santamaria, Wayne Shorter e Celine Dion.

Chet: Be’ Primus anche per me. Les Claypool è uno dei motivi per cui ho iniziato a suonare il basso, insieme a Mike Watt dei Minutemen. Nei Pin Pin Sugar queste influenze erano più evidenti. Non sono un chitarrista riciclato e frustrato, come insinua Frank Zappa sui bassisti. Ho sempre suonato il basso, per me col basso si possono fare un sacco di cose. Comunque siamo un frullatore, abbiamo le carte in regola per non piacere a nessuno.

3.     Come create i vostri brani? Da qui la scelta di questa formazione: tastiera, basso a 8 corde, batteria, oppure l’avevate in mente prima di presentarvi in questo set?

André: Mi sembra che siamo un gruppo a cui piace affidarsi al flusso naturale, quindi prendiamo poche decisioni inizialmente, lasciando che tutto venga fuori, la merda insieme alle perle. E secondo me stanno molto bene insieme. Per gli strumenti, la vera svolta per me è stato quando ho trovato la bestia nera.

Chet: Sì, quella batteria spacca. In effetti è nata prima la scelta degli strumenti, ho comprato un basso a otto corde apposta per i Quasiviri ed è diventato subito una caratteristica importante del nostro suono. E l’accoppiata con l’acidità del synth è speciale. In sala improvvisiamo tantissimo e abbiamo sempre registrato le nostre improvvisazioni, quindi abbiamo un serbatoio di materiale enorme. Molti pezzi sono nati da improvvisazioni, ad esempio Superlando, uno dei pezzi più fortunati di ‘The Mutant Affair’, è stato suonato improvvisando esattamente come è finito sul disco. Abbiamo solo dovuto impararlo e aggiungere le voci. “Solo” per modo di dire, in realtà ricostruire a tavolino la magia torbida dell’improvvisazione non è facile. Anche il pezzo Freak of Nature è nato improvvisando, in quel caso André si è messo a cantare durante l’improvvisazione, quindi anche linea vocale e una parte di testo sono stati frutto del momento. Poi di solito lavoriamo di lima, magari aggiungiamo qualche variazione scritta, tentando sempre di non finire nel vortice delle pippe mentali.
Altre volte invece il procedimento è inverso, qualcuno di noi arriva con un pezzo scritto e mentre si prova si deraglia e si finisce da tutt’altra parte. Non ci precludiamo nessuna strada.

Robi: Miliardi di tracce stereo delle nostre prove combattono tra loro con tutti i mezzi a  disposizione per farsi notare e farsi considerare dal nostro apparato decisional-di-cosa-è-meglio-e-cosa-no-non-lo-teniamo.

4.     Avete tempi lunghi per creare i vostri album; il primo ‘The Mutant Affair’ è stato registrato nel 2007 ed è uscito nel 2009, questo ‘Freak of Nature’ vede la luce nel 2012;  qual è il vostro approccio con lo studio di registrazione?

Chet: In realtà ci evolviamo piuttosto velocemente, negli ultimi tre anni non abbiamo tirato fuori solo quattro pezzi. Il problema è che le nostre uscite su disco  non hanno tenuto il passo con la nostra evoluzione. Dopo l’esordio più vario e frizzantino di ‘The Mutant Affair’ il nostro suono è diventato sempre più massiccio, abbiamo iniziato a passare per la nostra fase metal e dopo un po’ abbiamo iniziato ad uscirne. Prima di uscirne del tutto abbiamo capito che dovevamo trovare una soluzione a questo disallineamento, che dovevamo fermarci e fare in modo di documentare quello che facevamo. Innanzitutto abbiamo deciso di prendere i quattro pezzi più caldi e farne un vinile, titoli brevi e didascalici, tutti pezzi cantati, con una title track a fare da pseudo singolo, con i testi stampati all’interno. Una cosa lineare e diretta. Il disco è stato registrato live, tutti insieme nella sala in cui proviamo, abbiamo sovrainciso solo le voci. L’abbiamo mixato e masterizzato noi. Oltre ad aver fatto le grafiche ed aver serigrafato a mano le copertine noi stessi. E’ un metodo snello e rapido, che ha funzionato e che ci permetterà di registrare nuove cose più frequentemente. Fare uscite con un minutaggio breve potrebbe essere una buona strada per farne più spesso, pubblicando materiale più fresco e più rappresentativo. Il che avrebbe come effetto collaterale l’essere al passo con ritmi di fruizione che inevitabilmente stanno diventando sempre più frenetici. Vorremmo fare uscire cose diverse a breve termine, anche solo on-line.

5.     Come mai la scelta anche del vinile oltre al classico formato in cd per le vostre produzioni? Come mai la scelta del free download dal vostro sito del nuovo album ‘Freak of Nature’?

Chet: Non siamo affezionati a un formato piuttosto che a un altro, ogni formato ha i suoi pregi e i suoi difetti. La musica non si può identificare con il suo contenitore, così come la letteratura è indipendente dai libri su cui viene stampata. Il vinile è bellissimo, ma ad esempio non puoi ascoltarlo in macchina. E spedirlo costa un occhio. In un CD puoi mettere un sacco di musica, The ‘Mutant Affair’ dura più di 50 minuti, e molti comprano i CD perché non hanno un giradischi. Gli mp3 sono comodi ed essendo liberi dal supporto fisico hanno un potenziale di diffusione gigantesco. Quando abbiamo deciso di far uscire questi 4 pezzi la scelta non poteva che cadere sul vinile. Dato che il minutaggio totale era sui 22 minuti potevamo fare un 10 pollici, ma abbiamo scelto il classico 12 pollici perché a 45 giri avrebbe avuto un suono migliore, ma soprattutto, lo ammettiamo, perché volevamo una copertina grande!

André: Insomma, il vinile fa figo, e anche il free download!

Robi: Secondo me i pochi disperati che attualmente hanno voglia di interessarsi a una band, e non a una musica, devono godere quando decidono di acquistare un supporto dei loro beniamini. Noi facciamo godere con 10 euro…

6.     Ho avuto occasione di vedervi dal vivo al SOMS Club a Corridonia, in provincia di Macerata, e ho notato una forte componente cabarettistica/clownesca nella vostra performance, che non guasta ma anzi fornisce un incentivo in più alla ricezione della vostra musica. Cosa ne pensate?

André: Sì, questo elemento è forse l’unica costante del nostro gruppo. Quasiviri è una visione, una filosofia, questo elemento clownesco è intrinseco nel seguire il giusto sentiero.

Chet: Io lo dico sempre: quando scherziamo siamo estremamente seri. Il tragico e il comico convivono in noi e dunque nella nostra musica, l’apocalisse ci fa ridere, il pezzo Paradisco Inferno è una materializzazione di questa idea. Poi non è che ci mettiamo a fare battute per intrattenere il pubblico. Semplicemente non ce la meniamo, la nostra musica è divertente e ci divertiamo.

Robi: Il mio sogno è di suonare con i Quasiviri al circo di Ambra Orfei mentre lei si fa sbranare da un elefante…

7.     Con chi vorreste collaborare?

André: Yo-Yo Ma.

Chet: Un coro russo o dei cantanti lirici. Dei chitarristi sboroni che fanno assoli infiniti. Beyonce, sia su disco sia in tour.

Robi: A parte Ambra Orfei mi piacerebbe costituire il Malcolm Mooney Network con una serie di musicisti italiani che apprezzo per poi suonare da spalla al Damo Suzuki Network.

8.     Come vedete la scena live italiana, e quella internazionale anche a livello di spazi per suonare la vostra musica?

André: Una scoperta infinita dell’assurdo e del clownesco, in Italia. Non abbiamo ancora mai suonato all’estero.
Chet:  Io ho girato molto l’Europa con altri gruppi e non ho mai trovato grosse differenze rispetto all’Italia. Per realtà piccole come noi è sempre stato faticoso, ma mi sembra che oggi, rispetto a dieci anni fa, ogni data riservi più incognite. Il pubblico si concentra in pochi eventi e diserta le cose micro. E’ come se fosse aumentato il divario tra poveri e ricchi. Noi siamo i poveri, chiaramente. Ma anche nelle serate no, i pochi che ci sono di solito sono entusiasti.
Forse tra le informazioni e il materiale audio che si trovano sul web si va meno ai concerti per semplice curiosità, come magari si faceva prima, e si va più a colpo sicuro. Mi ricordo che con i Pin Pin Sugar anche quando andava male c’erano 60 persone. Forse quelle 60 persone ora hanno famiglia e non vanno più ai concerti e non c’è stato ricambio generazionale. Ma credo siano cicli e che a un certo punto i concerti di gruppi piccoli torneranno ad essere affollati.

Robi: Comunque gli spazi ci sono, è la gente che non vuole riempirli. Li riempie solo se è sicura e informata di ciò che la attenderà. E  tutto ciò mi sembra un po’ triste.