Einsturzende Neubauten Live

@ Estragon – Bologna, 13 Novembre 2010

 

Di Marco Paolucci

Da tempo il vostro kathodik-man pensava a questo concerto, celebrazione di trenta anni di musica, successi e album che sono entrati a far parte della storia della musica mondiale. La decisione però viene presa in men che non si dica, complice un manipolo di appassionati e non, una macchina confortevole e un coinvolgimento sentimentale…si anche il vostro kathodik-man ha un cuore. Partenza nel pomeriggio, arrivo all’Estragon in tempo per rifocillarci e metterci in fila per l’apertura dei cancelli. Prima volta in questo locale che si è da tempo proposto come uno dei punti di riferimento della musica dal vivo internazionale, chiara ansia per come si svolgerà la serata sia sul piano acustico sia sul piano performativo, trenta anni sono tanti per tutti  e tranne in qualche raro caso di “non-umani”, il rischio di un flop c’è. La serata è sold-out, ma incredibilmente avviene un primo miracolo: vengo smentito clamorosamente sull’ipotesi di concerto visto e vissuto il forma di sardina, schiacciato all’inverosimile con riserva d’aria al minimo. Invece i gestori sanno il fatto loro e il tutto esaurito permette il non esaurimento fisico dello spettatore, con possibilità di muoversi senza dover passare sopra nessuno. Il concerto inizia con un minuto di ritardo rispetto a quanto scritto sul biglietto, si accendono le luci, si dà inizio alla performance canora degli Einsturzende Neubauten e avviene il secondo miracolo: constato che l’acustica è eccellente, merito del fonico, merito della struttura dell’Estragon, non so, fatto sta che questo miracolo si rivela un toccasana per le povere orecchie del vostro kathodik man di questi tempi sottoposto a massacri sonori in posti totalmente “anacustici”. Partenza con The Garden tratta da ‘Ende Neu’, ipnotica, magmatica e buon auspicio per quello che verrà,  prosieguo in crescendo con Befindlichkeit des Landes da ‘Silence is Sexy’, e poi il delirio sotto forma di frastuono razionalizzato e dispiegato dalla formazione: tra le altre, Von Wegen da ‘Alles Wieder Offen’, album “citato” spesso durante la serata, Die Interimsliebenden, protofunk tratto da ‘Tabula Rasa’, Nagorny Karabach ancora da ‘Alles Wieder Offen’. Una perfetta alternanza di stasi e movimento, una collaudata maniera di proporre rumore a melodia, la scaletta scelta dalla band non lascia momenti inerti né spazi di riflessione, la voce sul filo della declamazione di Blixa Bargeld, il basso posseduto e brutalizzato da Alexander Hacke,  N.U. Unruh che percuote lastre d’acciaio, tubi di metallo, bidoni di plastica, e chi più ne ha più ne metta, Jochen Arbeit che con la sua chitarra elettrica instilla acuminati spilli sonici nei posti giusti come una sorta di agopuntura apocalittica, Rudolf Moser che smussa gli spigoli della sua battera post-nucleare, uno scenario di “vivibile” cultura industriale che ci viene dispiegato sotto i nostri occhi. C’è spazio anche per un siparietto da parte di Blixa Bargeld con uno spettatore fan del rock’n’roll, una dedica “rumorista” a Luigi Russolo, per ritornare ad attingere da ‘Silence is Sexy’ con Sabrina, un richiamo al presente con Susej, ancora da ‘Alles Wieder Offen’, e la band si ritira per una dovuta, brevissima pausa. Poi il rientro con altri cinque bis, tra cui una versione noise di Headcleaner da ‘Tabula Rasa’,  una Silence is Sexy alla nicotina, e la chiusura lasciata a Total Eclipse of the Sun. Due ore e trentuno minuti di concerto, stagionati e sufficientemente attempati musicisti che ancora sanno stare sul palco e hanno qualcosa da dire, penso che possa bastare. La ripartenza e il ritorno a casa, costellato di deviazioni, rientri e uscite sbagliate. Con la musica degli Einsturzende nella nostra mente e nei nostri occhi.

Un Ringraziamento a Federica La-Roux Papa della Hot Viruz per le foto.