Mike Patton ‘Mondo Cane’

(Ipecac 2010)

Che Mike Patton sia uno dei tanti amanti dei prodotti del Belpaese non lo si scopre certo oggi. Sua moglie è italiana, ha vissuto per 5 anni a Bologna e la sua ammirazione per le musiche di Ennio Morricone (anche qui omaggiato con Deep Down) lo ha spinto addirittura a pubblicare per la sua Ipecac Records una raccolta di brani minori del maestro.

Ma ora l’ex Faith No More (ed ex di altre decine di band) lo ritroviamo in pista per un’operazione quantomeno bislacca. Già nel 2008 Patton aveva portato in giro per l’Italia e non solo, in compagnia dell’Orchestra Toscanini arricchita dalla tromba di Roy Paci (!), un concerto a base di successi della musica italiana a cavallo tra anni ’50 e ’60, riarrangiati e plasmati intorno alla voce luciferina dell’americano. Fu un successo strabiliante, con il multiforme musicista in giacca e cravatta e capelli carichi di brillantina sul palco dei teatri di mezzo mondo ad intonare con accento quasi perfetto i successi di Morandi, Buscaglione e compagnia bella.

Due anni ci ha messo Patton a dare forma discografica al suo progetto, cercando di riportare su disco la violenza del suo canto e la plasticità della sua mimica facciale e corporea, ma centrando il bersaglio solo a metà. Basta dare un occhio a Youtube e guardare qualche video dei furibondi live a firma “Mondo Cane” (che riprende il titolo da un film del 1962 di Gualtiero Jacopetti) e poi ascoltare il disco per notare la differenza. Il possente Urlo Negro di memoria Fantomas su cd non ha la stessa ferocia che la duttile voce pattoniana riesce a innescare nel live, dove il successo dei Blackmen è trasfigurato rabbiosamente in un grido infernale. Il momento migliore è senz’altro la cover di Nicola Arigliano 20 Km Al Giorno, che accende negli occhi una sovrapposizione tra le voci dei due interpreti, sorprendentemente simili. Purtroppo nel disco non troviamo lo stupendo remake di Pinne, Fucile ed Occhiali, davvero esilarante per come viene reinterpretata live da Patton nel tentativo di seguire le accentuate cadenze di Edoardo Vianello.

Tra momenti lucenti ed altri più dimessi, Patton si barcamena in un divertissement gradevole che non farà che rafforzare la visione stereotipata dell’italiano in America. Ma, se ce ne fosse bisogno, ricorda la sua istrionica capacità di calarsi in ogni ruolo con estrema naturalezza. Come propone qualche collega in altre recensioni, chissà che effetto farebbe un Patton in gara a Sanremo…

Voto: 6

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