Muse ‘Uprising’

(Warner 2009)

Li si può amare o odiare, ma è indubbio che i Muse siano una delle formazioni più originali del decennio. Dall’esordio del ’99 con “Showbiz” sino al penultimo “Black Holes And Revelations” (2006), la band di Matt Bellamy ha cercato di di proporre un sound nuovo, personale, capace di incanalare riff grunge-metal, barocchismi electro-glam e classicismo romantico in strutture prog-rock. I risultati forse non sono sempre stati all’altezza delle intenzioni, ma l’ambizione e la voglia di sperimentare strade nuove li pongono sicuramente come una delle realtà più interessanti del rock contemporaneo.
“Uprising”, ultima fatica in studio del terzetto di Teignmouth, Devon, è un ottimo album, più compatto nel sound e meno dispersivo del precedente. In alcuni pezzi, la componente elettronica stile Supermassive Black Holes è accentuata (Uprising e soprattutto Undisclosed Desires, che trasferisce il loro pathos romantico sulle piste da ballo). Altri brani, invece, si fanno apprezzare per la complessità di arrangiamenti e strutture. Prendiamo, ad esempio, United States Of Eurasia (+ Collateral Damage), assai esplicativa della loro concezione estremamente originale del prog, in cui le influenze dei Queen più barocchi si mescolano con inflessioni arabeggianti e musica classica (il finale riprende una composizione di Chopin, il Notturno in Mi bemolle maggiore, Op. 9, No. 2). O ancora Unnatural Selection, che parte con un organo da chiesa il quale subito cede il posto ad un riff spaccaossa di chitarra; nel secondo movimento della suite, il ritmo rallenta: Bellamy lancia la sua sei corde in una sorta di lamento blues, ma senza abbandonare i toni operatico-romantici del cantato. Nella terza parte, il pezzo riparte dal principio e riprende quota grazie al ritornello, per poi chiudere su un riff heavy-rock. Particolarmente emozionante, poi, Exogenesis, una sinfonia in tre movimenti (Overture, Cross-Pollination e Redemption) che rappresenta l’apoteosi del genio neoclassico e romantico di Bellamy, arrangiata per orchestra, piano, basso, chitarra e batteria, ed in cui il band-leader sfodera un’impareggiabile falsetto.
Composto e arrangiato interamente da Bellamy, prodotto egregiamente dal trio tutto e suonato splendidamente (merito non solo del chitarrismo spigoloso, aggressivo e distorto di Bellamy ma anche del basso virtuoso di Chris Wolstenholme e del drumming incalzante eppure mai sopra le righe di Dominic Howard) “Uprising” è forse il disco migliore dei Muse, nonché uno dei migliori dell’anno appena trascorso.

Voto: 8

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