Kasabian ‘The West Rider Pauper Lunatic Asylum’

(Columbia 2009)

Ritorno in pompa magna per i Kasabian, uno dei gruppi più eclettici e meno etichettabili della nuova scena indie-rock britannica, affermatisi nell’ormai lontano 2004 grazie soprattutto ai singoli L.S.F. e Club Foot e confermatisi solo a metà col successivo “Empire”. Stilisticamente, in questo lavoro Sergio Pizzorno e soci non cambiano troppo le carte in tavola, lavorando su un sound ormai consolidato che si basa sulla tradizione del brit-pop anni ’90 sul quale si innestano intarsi elettronici di varia natura, fronzoli glam, viaggi psichedelici floydiani e citazioni cinematiche.

Il risultato è un pot-pourri succulento ma forse un po’ caotico, fatto di lampi geniali e pezzi di cui si farebbe a meno, a metà strada tra un autocompiacimento che spesso porta a uno scimmiottamento di pezzi del passato (ascoltare Underdog per credere) e una sincera volontà di mantenere una coerenza che in fin dei conti non ha senso per un gruppo che ha fatto della infinità di riferimenti uno dei suoi punti di forza.

La sensazione che si ha dopo aver ascoltato per intero il disco è quello di avere compiuto un viaggio in cui si sono visitati tanti di quei posti da non ricordarne bene forse nemmeno uno. Il disco è piacevolissimo, sia chiaro, ma forse vuole abbracciare una così vasta gamma di generi da finire per chiudersi in vicoli senza uscita.
La composizione è diventata molto più ricercata e maniacalmente precisa a livello musicale (merito anche della produzione di Dan The Automator, già con i Gorillaz) ma convincente solo a sprazzi. Meglio i pezzi più tirati, specie quelli nella prima parte del disco (Where Did All The Love Go? e Take Aim ma soprattutto la bellissima Vlad The Impaler, con echi cinematici ed esplosioni quasi techno che la rendono irresistibile), mentre quando i nostri decidono di rallentare e virare verso lidi più psych-rock (Thick As Thieves, West Rider Silver Bullet, Ladies And Gentlemen, Happiness) il pegno da pagare agli ultimi Beatles e a Barrett diventa evidente e si fa quasi smaccato.

Un disco che non segna grandi passi in avanti per la band inglese, forse non completamente riuscito visto la mole di carne messa al fuoco, pur confermandoli uno dei gruppi di riferimento nell’universo indie-rock mondiale. Ma chi troppo vuole a volte…

Voto: 7

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