Damo Suzuki’s Network ‘Tutti I Colori Del Silenzio’

(Wallace Records 2009)

Il nome di Damo Suzuki si ricollega inevitabilmente ad uno dei più importanti act della psichedelia made in Germany, i Can. Kenji Suzuki (questo il vero nome del vocalist) entrò a far parte della formazione nata dall’incontro tra Holger Czukay, geniale chitarrista di origine polacca, e il tastierista Irmin Schmidt dopo la defezione di Malcom Mooney, primo cantante della band. Giusto in tempo, insomma, per registrare quell’autentica pietra miliare della storia della musica rock che è “Tago Mago” (1971). Un paio di album-capolavoro più tardi (“Ege Bamayasi” del ’72 e “Future Days” del ‘73), Suzuki abbandonò i compagni d’avventura per seguire la propria vocazione di testimone di Geova. Dopo un decennio di assenza dalle scene, ricomparve negli space rockers Dunkelziffer, coi quali registrò l’LP “In The Night” (1984). Il passo successivo fu la nascita, due anni più tardi, della Damo Suzuki Band, con il batterista Jaki Liebezeit (ex Can), il chitarrista Dominik von Senger ed il tastierista Matthias Keul.
Il Damo Suzuki’s Network è l’ultimo parto della mente del geniale musicista nipponico. Del combo fanno parte Diego Sapignoli (batteria e percussioni), Andrea Belfi (elettronica), Mattia Coletti (chitarra elettrica) e Xabier Iriondo (chitarra elettrica e mahai metak, un bizzarro strumento elettrico fatto di legno, metallo e componenti elettroniche). “Tutti I Colori Del Silenzio” è l’LP di debutto del gruppo, dopo un primo tentativo rappresentato da una facciata a loro interamente dedicata nel quarto volume della collana Phonometak della Wallace Records. Ed il risultato è sicuramente all’altezza delle aspettative: un’unica suite psichedelica di quasi cinquanta minuti (per altro registrata dal vivo, al circolo culturale “Luogo Comune” di Faenza), caratterizzata da un lungo monologo di Suzuki (che spesso indulge in un registro gutturale degno di Tom Waits) e da dissonanze chitarristiche, rumorismi elettronici e spunti decisamente groovy (non mancano, infatti, neppure inflessioni hip hop e funk). Insomma, un tentativo di creare una “musica totale”, capace di trascendere i confini di genere e di far fluire segni di varia provenienza in un unico, magmatico flusso. Un disco non facile, ovviamente: ma gli amanti della sperimentazione ci sguazzeranno felici per molto tempo.

Voto: 8

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