Danger Mouse & Sparklehorse ‘Dark Night Of The Soul’

(Autoproduzione 2009)

La storia che sta dietro questo “Dark Night Of The Soul” è abbastanza singolare e merita di essere raccontata. Danger Mouse (all’anagrafe Brian Burton), produttore affermato e metà del duo Gnarls Barkley, e Mark Linkous, leader degli Sparklehorse, gruppo di culto della scena alternative americana, qualche mese fa hanno unito le loro forze per partorire quello che nelle loro intenzioni doveva essere “l’album del secolo”. Hanno composto il materiale e chiamato a raccolta una gran quantità di ospiti celebri (tra questi, Wayne Coyne dei Flaming Lips, Julian Casablancas degli Strokes, Iggy Pop, Black Francis, Suzanne Vega, David Lynch). Terminate le registrazioni, sono sorti i problemi: a causa di un contenzioso tra la EMI e Danger Mouse, risalente addirittura ai tempi del suo “Grey Album” (per chi non lo sapesse di tratta di un disco nato dal mixing tra il “Black Album” di Jay-Z e il “White Album” dei Beatles), l’uscita del disco viene bloccata. Ma i nostri non si perdono d’animo: mettono in vendita un booklet di 100 pagine ad opera di David Lynch con in allegato un CD vergine, da riempire scaricando i brani attraverso uno qualsiasi dei software P2P a disposizione. Una scelta sicuramente coraggiosa, insomma, da far impallidire persino i pur avanguardistici (anche in questo settore) Radiohead.
Ma veniamo alla musica. Tanto per esser chiari da subito, “Dark Night Of The Soul” non è l’annunciato “il disco del secolo”. Ciononostante è un ottimo lavoro, uno tra i migliori di questa prima metà del 2009, una raccolta eterogenea, in cui suoni acustici, elettronici ed elettrici si amalgamano alla perfezione, dando vita in alcuni casi ad autentiche gemme sospese tra alternative pop, psichedelica e rock.
Tra i momenti migliori, lo splendido lento di Revenge (cantato da Mr. Flaming Lips Wayne Coyne), le inflessioni indie-wave di Little Girl (con Julian Casablancas alla voce), Angel’s Harp, con il suo mix di archi, beat elettronici e possenti chitarre elettrice (merito di Black Francis), le contaminazioni tra elettronica e rock di Pain, con Iggy Pop al microfono, Star Eyes (I Can’t Catch It), dilatata e psichedelica (ospite David Lynch), la delicata melodia squassata da beat elettronici di Insane Lullaby, che si avvale del featuring di James Mercer degli Shins ed infine la notturna e disturbata title track, con ancora Lynch alla voce.
Al progetto discografico ne seguirà uno visivo curato dallo stesso regista di “INLAND EMPIRE”: nell’attesa, godiamoci questo gran bel disco.

Voto: 8

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