Carl-Henning Wijkmark ‘La morte moderna’

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Marco Loprete

marcoloprete@libero.it

Pubblicato per la prima volta nel 1978, “La morte moderna” è uno di quei testi che definire “attuali” è un banale eufemismo. Wijkmark, scrittore, giornalista e traduttore, cosmopolita (nacque in Svezia, a Stoccolma, nel 1934 ma visse in Francia, Germania e Spagna), tra i massimi intellettuali europei del secondo dopoguerra, fu da sempre estremamente attento ai problemi etico-morali del nostro tempo. E un esempio di tale interesse (nonché dell’acutezza con cui il nostro si avvicinava a simili questioni) è rappresentato proprio da questo “La morte moderna”. Il libretto (poco più di cento pagine) è costruito interamente come trascrizione delle opinioni espresse da scienziati, scrittori e sacerdoti in un ipotetico simposio avente come argomento “La fase finale della vita umana” (abbreviazione: FATER).

Il punto centrale da cui scaturisce la discussione è questo: nei Paesi ad economia più sviluppata, il sistema sociale non riesce a sopportare il fardello di una crescita sempre maggiore della vita media. Spiega infatti il Moderatore del dibattito: «Uno svedese su quattro è in pensione di anzianità, e uno su otto in età produttiva è in pensionamento anticipato. Il settantacinque per cento dei costi assistenziali va alla cura di malati cronici e senza speranza, un settore in cui il tetto stato raggiunto e sfondato già da più di quindici anni. In quel venticinque per cento serpeggia uno scontento sempre più accentuato». Occorre, dunque, far crescere il tasso di mortalità. Ma come fare? La formula proposta da qualcuno è quella dell’«obbligo volontario», consistente nel condizionare mentalmente gli anziani a porre fine in modo autonomo alla propria esistenza per evitare lo spreco di risorse utili alla collettività. Tale visione provocatoriamente proposta dall’autore, già di per sé aberrante (anche perché coinvolgerebbe altre categorie di elementi improduttivi, come ad esempio i bambini down), lo diventa ancora di più se consideriamo l’atteggiamento ed il linguaggio “asettico”, freddamente “clinico”, dei partecipanti al simposio. Paradossale e assurda, poi, la doppia moralità di cui sono portatori: da un lato, difensori del sistema democratico, dall’altro, sotto sotto, ideologicamente vicini a certi tratti del totalitarismo.

Unica voce che si leva in difesa dei valori dell’umanitarismo, del diritto naturale (contrapposto al “valore sociale”), della dignità di ogni essere umano è quella di Aksel Rönning, che ci viene presentato come storico delle idee e scrittore danese, evidentemente un’incarnazione del punto di vista dell’autore stesso, il quale, tuttavia, non riesce ad avere la meglio sui suoi interlocutori.

«Avrete presto nostre notizie» conclude sinistramente il simposio il Moderatore e con esso questo magnifico libro, agghiacciante saggio su un Occidente che, in nome dell’economia di mercato e della burocrazia, sembra aver venduto l’anima al diavolo.

Link: Editore Iperborea, 2008