Solarino-Manzi QuartetQuintet “Tell Me The Story”


(Wide Sound Records 2007)

La collaborazione tra un navigato del jazz italiano del nome di Massimo Manzi ed un astro nascente della sei corde impro come Solarino, da una saltuaria collaborazione iniziale (basata soprattutto nel ruolo di side-man svolto da quest’ultimo al ‘servizio’ dell’iper-attivo Manzi), approda in sala d’incisione per la registrazione di un progetto co-firmato a chiare lettere.
L’esperienza decennale al cospetto dello swing rende superfluo qualsiasi approfondimento sulla carriera del maturo batterista dal curriculum interminabile, ma una ‘sviolinata’ nei riguardi del giovane Andrea è d’obbligo. Chiamatela presunzione, ma risentiremo più spesso ‘tintinnare’ il nome del chitarrista siculo (stabilitosi, però, da anni nelle verdi Marche) nei circuiti di nicchia del jazz di qualità tricolore, e sicuramente, anche internazionale.
Lunatico, un fraseggio talmente pulito che in qualche modo verrebbe da descrivere come ’esatto’. La sensuale predisposizione ad incastrarsi in contesti para-jazzistici, dipinti da obliquità esotiche, fanno di Solarino un performer inaccostabile ad altre scuole; e questo non può che incarnare un bene perché significa piena soggettività creativa.
Ad accompagnare questi gentleman staniamo l’avvicendarsi di due formazioni: quartetto, costituito dalla coppia con l‘inserimento dei talent-scouts Gianludovico Carmenati (contrabbasso) e Marco Postacchini (sax tenore e baritono, flauto e clarinetto basso); quintetto esteso al trombone di Massimo Morganti.
Un cd agile, abitato da quattro originali di Andrea, uno di Manzi e alcuni standard, anch’essi peculiari: due classici di T. Monk e di B. Evans – Bemsha Swing e Time Remembered dall’omonimo Lp del ’67 – cedono il passo a Nature Boy, pezzo rispolverato dagli archivi di Eden Ahmez, ombroso vocalist exotico già (re)interpretato nella storia da diverse stelle del jazz (si veda Nat King Cole, Trane, Sinatra e la Sarah Vaughan).
Degli originali va segnalato il robusto ‘fremito’ di Breed in cui se la giocano i fiati corposi di Postacchini e le corde in odore del Metheny più anarcoide; la title track, a dispetto delle altre scritture di Solarino, accomunate da un vibrante scuotimento post e/o hard-bop, scivola-via in una successione degli eventi placida e morbida, da ricercato clima notturno.
Ancora una volta le Marche si presentano sotto i riflettori come la fucina creativa ideale per gli aficionados della buona improvvisazione.

Voto: 8

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