David Maranha ‘Marches Of The New World’

(Grain of Sound 2007)

Dopo un intervallo di cinque anni di infertilità erge di nuovo dal panorama iberico David Maranha: musicista di sangue nobile, affiliato da tanti anni presso la costola più (new) minimal e impro del circuito portoghese. Il ritorno alla pubblicazione lo coglie piacevolmente attivo: non solo negli abiti di compositore solista ma anche nella posizione seminale di vecchio e saggio mentore degli Osso Exotico che, dopo anni di oblio, risalgono la china con l’uscita di un nuovo album sulla lunga distanza,“Folk Cycles”, licenziato per l’americana Phonomena.
In questa sede, l’occhio è focalizzato su “Marches Of The New World”, fratello di “Noe’s Lullaby” – uscito per la Rossbin – e della magnificenza di “Circunscrita”, il quale ancora vaga ‘stordito’ nei ricordi, mai annebbiati, con le sue infinite trame minimali-ste e come uno degli indiscussi capolavori composti dal nostro. “Marches Of The New World”, contrariamente, elabora un’architettura totalmente opposta, rimpiazzando l’impianto statico-catatonico del passato con un portamento più duttile, talmente ondeggiante nelle ritmiche e nei cambi di tono che l’immaginare una struttura in crescendo, prossima ad alcune rock ballads – che so, specialmente dei ’70s – non vuol dire farneticare strambe teorie senza senso. Sarà proprio la presenza calda dell’organo hammond, del violino e del dobro – tutto suonato dalle mani di David – e la vicinanza di un insolito ensemble, costituito dal violoncello di Helena Espvall (dal combo nu folk denominato Espers), dal basso di João Milagre, dalla batteria di Tó Forte (all’inizio, anche lui negli Osso Exotico) e dalle percussioni di Tiago Mirando (storico membro della chanson intellettuale dei Pop dell’Arte) a rendere piena conferma del sussulto ‘esistenziale’, cui è sottoposta l’intera opera.
Maranha perseguendo un idea originaria di fondo, come anche in precedenza, esprime un altro dei possibili modi di intendere secondo la sua ottica il minimalismo, il suo modellamento e la capacità di trasmettere all’esterno sensazioni forti e non comuni. Cinque piste dai tratti ‘esotici’ quanto crepuscolari: moderni raga etnicheggianti (Redemption Torture), tenebrose danze tribali stravolte (l’incessante Infinite March), appannate visioni di folk ‘frantumato’ e vecchi amori acidi per il Theater Of Eternal Music di La Monte Young che mai placano d’intensità.
Un atro trip che prelude alla perfezione l’imminente ingresso autunnale. Allo stesso tempo, anestetico e ipnotico dei sensi di altissima efficacia.

Voto: 7

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