Carol Barnett ‘Cyprus, First Impressions’

(Innova 2006)

“Cyprus, First Impressions” è un’assolata
distesa emozionale dove si è liberi di perdersi.
La
compositrice statunitense Carol Barnett (membro dell’American
Composers Forum
ed insegnante di composizione presso l’Augsburg
College di Minneapolis) pubblica questa convincente raccolta di
luminosi movimenti ispirati alla tradizione cipriota e greca che
copre l’arco temporale fra il 1991 ed il 2002.
Solari affreschi
realizzati per diversi committenti (università ed
associazioni).
Trascurando la brutta copertina in odor new age
quello che ci si ritrova a far girare sul lettore è
un’intrigante e profumato compendio di suggestioni mediterranee
d’insospettabile e gradevole ascolto (requisito raro in prodotti del
genere…).
Un’amore vero quello che la Barnett prova per le
tradizioni balcaniche, un’accorata e suggestiva serie di scorci
fortemente visivi dove senza traumi si intrecciano influenze
musicali e riferimenti letterari provenienti da Grecia, Cipro;
Turchia e Serbia.
Un andamento pacato ed onirico che si leva come
nebbiolina sottile a coprire i raggi caldi ed intensi del sole di
agosto, le prime ore del pomeriggio; quando tutto pare fermarsi e
sciogliersi in un unico soffocante abbraccio.
Il richiamo del
muezzin del quartiere turco di Nicosia che si sovrappone alle urla
dei venditori di frutta della città vecchia dell’incantevole,
iniziale, Cyprus: First Impressions;
la stasi contemplativa condotta dal flauto alto che riflette
l’inestricabile disagio di un paese profondamente diviso.
Una
capacità cinematica avvolgente,
una diluizione sul filo del ricordo all’insegna di un raccoglimento
interiore; commosso e rispettoso.
Mythical Journeys
composta nel 1991 sotto l’influenza degli scrittori greci George
Seferis
e Constantine Cavafy,
un toccante slow-motion fra chitarra e flauto dove nelle rarefatte
pause pulsa un’indescrivibile, dolente; senso di perdita
d’identità.
E poi tutto prorompe in istantanee festaiole,
la tensione si rilascia; cala la sera.
Cyprian Suite ci
congeda in maniera agrodolce, colti al tramonto con un bicchiere in
mano mentre si osservano le gonne delle donne sollevarsi nell’impeto
del ballo; i volti che si rischiarano in un sorriso; ci si stringe
tutti insieme in un sol battito vitale che non conosce divisioni
ideologiche di sorta.
Chi ha goduto degli incanti di “Koan”
di Stephan Micus si avvicini senza paura.
Ma non
soltanto.
Siamo tutti invitati.

Voto: 7

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