Cristalli A Fumetti

Questa Volta La Rubrica Cristalli Si Occupa Di Fumetti.

 

Il fumetto c’era, il fumetto c’è; e scusate se è poco!

Ho imparato a leggere dopo le figure, mentre a 3, 4 anni stavo calmo con in mano una copia di Topolino o Il Monello, Intrepido, ecc., è dai fumetti che ho poi appreso la lettura. Poi col tempo degli studi sono arrivati i supereroi con relativi superproblemi, Superman, l’Uomo Ragno,  Batman, I fantastici quattro, Capitan America, Devil, X-Men, Thor, Kamandi, ecc.. In seguito, dopo l’orario lavorativo, spazio, anche notturno, per Linus (già vecchia conquista), Alter-Alter, Totem, Lanciostory, Il Mago, Eureka, Orient Express, ecc., ecc., senza dimenticare Isabella, Wartan, Macula, Zora, Il Lando, Corna Vissute, ecc., ecc…
E ora? Esiste ancora tanta carta inchiostrata, tanto nero su bianco e colore vivace. Ancora molta passione e produzione che ben sarebbe difficoltoso stare dietro a tutti questi satelliti immersi nella galassia delle Nuvole Parlanti. La festa non è finita, o almeno non per tutti. Però per il sottoscritto resta l’ovvia domanda: “Cimiteria, Sukia, Candida, Vampirella, La Gatta, Ulula, Sciacallo e poi Cosce, Corna Vissute, La Poliziotta e quanti altri ancora, dove sono finite queste primizie?”. Dove sono finiti quegli albi del subconscio a strisce? Alter-Alter, Heavy Metal, Il Mago, Linus, Alter-Linus, Eureka, 1984, L’Eternauta, Comic Art, Orient Express, Nova Express e Frigidaire, hanno lasciato il terreno vuoto, forse annegati nel loro stesso inchiostro.
E ora? I vecchi lettori hanno messo su pancetta e precoce calvizie. Le edicole hanno subito il passaggio della peste nera, di antica memoria, che ha decimato il parco testate già fin troppo esiguo. La carta è diventata riciclabile, il fumetto no!
Però nuovi piccoli editori indipendenti, numerosi giovani disegnatori hanno ricominciato a caricare le librerie di nuova carta. Allora, dopo i trascorsi De Bono, Rinaldo Traini, Vincenzo Sparagna, i folli di Metal Hurlant, Granata Press e confratelli, dimenticati dai lettori, imbiancati dagli anni, mentre affogano nei debiti, vedono spuntare giovani e piccoli editori o generici appassionati di fumetti, ma non tutti restano a guardare.
Perché affrontare questo tema in uno spazio come la rete e proprio su Katodik? Perché no?

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Petra Schérie

Prologo: il fumetto sta alla sottoletteratura come il libro sta alla carta igienica. E non scusatemi l’accostamento!

Petra Schérie è solo una delle tante realizzazioni di A. Micheluzzi, autore purtroppo scomparso da anni, che oltre a creare stupendi universi della 9° arte (il fumetto), ha saputo magistralmente tracciare un profondo solco di collegamento tra lui e i lettori. La stima che, col tempo, ha maturato per i suoi lettori lo ha spinto a domandare pubblicamente le proprie scuse per essersi, in tempi passati, trovato nei panni di una persona discordante al fumetto.
In Petra Schérie, personaggio realizzato per sé e per noi, vi si può trovare tutto questo e molto, molto altro.
Vi si trova un contenuto proprietario di quell’indelebile senso del legame espresso da queste brevi storie, fuse tra loro da un discorso cronologico, che indirizza il lettore verso l’ingresso di uno straordinario mondo fatto di figure, chiari e scuri, ombre statiche e silenziose valide e vive espressioni di un dinamismo rumoroso.
Vi si trova una voce fuori campo che affabilmente conduce il lettore lungo tutto il percorso, specchio di storie umane.
Vi si trova lo sguardo intenso e sensuale di una ragazza che, grazie alla sua labile natura, ci consente il riappropriarci d’emozioni perdute da tempo immemorabile.
………!

Petra Schérie
Atillio Micheluzzi
Primo volume – Secondo volume
Tascabili Lizard, 2000

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Maus

292 pagine di topi, gatti, cani, maiali, ecc. antropomorfi, cioè umanizzati, e propostoci dall’eccezionale autore in quest’atipico “carosello” ancora molto attuale, nonostante sia stato concepito circa vent’anni fa.
Ogni aspetto esteriore, di tutti i personaggi mostrati, è dotato della peculiarità appartenente alla figura animale proposta con lo scopo di denunciarne e rendere riconoscibile ed estrinseca la loro interiorità, la loro effettiva essenza, così come la razza del gatto (nazista), caccia la razza del topo (ebreo), la razza del cane e contro alla razza del gatto e così a proseguire.
Forse può risultare troppo facile, troppo riassuntivo proporre la disumanità che giace in noi alla pari di una semplice maschera da indossare, o togliersi, a piacimento.
Nonostante ciò, le figure grottesche che popolano questa storia, impersonano le ombre che ci circondano e che, volenti o nolenti, quotidianamente generiamo.
Maus è una delle tante urla lanciate nel vuoto di questo villaggio globale, urla di solitudine, urla di ingiustizia, urla di dolore ma anche di amore; insomma urla umane.
Maus è una storia di passati molto vicini, se non proprio attuali (è sufficiente darsi un piccolo sguardo attorno a noi per vederne il ricalco!), che non può evitare di toccare la ricettività del lettore, non solo, i “buffi animaletti” che la popolano arrivano a rende tutto l’insieme grottesco e ne permettono l’usufruire senza generare alcuno sdegno, alcun disappunto.
Ma attenzione, ciò non può, alla fine, di evitare il sorge spontaneo di una domanda: “E io, che animale sono?”

Maus
Art Spiegelman
Einaudi Tascabili Stile Libero, 2000

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Fumetto

Rivista mai vista…
Dentro il bazar della comunicazione, dentro i mercati cialtroni e confusi, dietro la provvisorietà dell’informazione effimera, ecco fiorire  una delle più consistenti e belle riviste, se non l’unica, che ricoprono con un aspetto professionale degno di nota il difficile settore fumettistico.
Tutta l’attività, attuale e passata, del fumetto con il suo universo che si riversa, più di quanto si possa credere, sul nostro territorio e oltre alle nostre innumerevoli frontiere, non solo geografiche. Un operato amatoriale, che vanta ormai oltre 10 anni di pubblicazioni (con molte altre iniziative legate al fumetto!), che di numero in numero ha saputo con maestria “donare a Cesare ciò che è di Cesare”, evitando magistralmente i codici ufficiali di un’estetica menzognera e apparente.
Il fumetto non è solo passatempo o divertimento, sarebbe come ammettere che la produzione letteraria è solo Harmony o Gialli Mondatori.
La stupenda rivista Fumetto ha saputo insegnare ciò che molti ignorano o, peggio ancora, non credono possibile: il fumetto è, anche, letteratura disegnata!
Leggere per credere.
Purtroppo è una pubblicazione introvabile in commercio, si può acquistarla solamente tramite l’abbonamento all’associazione editrice: ma ne vale veramente la pena!

Fumetto
Rivista di comics a cura dell’Ass. Nazionale Amici del Fumetto
Numeri vari 2006

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Black

Con la parola underground si tenta di designare una produzione sottoterra, indipendente, alternativa. Si tratta di un’espressione socio-culturale che indica situazioni marginali, sommerse, nascoste in clandestinità che rispetto alle correnti dominanti si posiziona ai margini dei circuiti tradizionali di diffusione commerciale. In molti riferimenti è collegato ai termini cultura alternativa e controcultura.
Purtroppo tutto ciò era vero fino a vent’anni fa!
Oggi questo termine è sinonimo di un’etichetta prestabilita che rivestire solamente un mero aspetto culturale.
Black ne è la dimostrazione…
Giovani fumettisti allo sbaraglio per proporre nuove visioni dell’attuale universo delle nuvole parlanti, con proposte alternative che si sforzano di uscire dagli stereotipi linguaggi fumettistici consolidati.
Ma chi lo dice che per essere anticonformista si è costretti a disegnare in modo inusitato e raccontare storie ancora più insolite che non riescono a spiegare la realtà che rivestano, in cerca di cosa, in cerca di dove?
Peccato, poteva essere la volta buona per dare voce a tutti quei giovani che desiderano parlare e che, ovviamente, hanno qualcosa da dire.

Black
Autori Vari
Coconino Press, 2005

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No Pasarán

Storie vecchie di Paesi lontani ricoperte dalle inquietudini di un passato mai dimenticato, galleria di personaggi dai quali si può intravedere le evoluzioni dell’essere, le superficialità di tanti periodi contornati con altrettanti riti logorati dai ritmi generazionali.
Max Fridman ritorna, o forse non se ne è mai andato, e con questa primo volume di 54 pagine, l’inizio per un sogno in quadricromia, ci accompagna verso quegli orizzonti distanti pochi millimetri da noi.
Dove ci conduce, cosa ci vuol dire col proporci scorci di vita cosi amari e tormentati?
L’autore, ancora una volta, con il suo modo di annotare gli umori della vita con immagini sciolte, minuziose, incisive, ci introduce in una “favola” del tempo passato che, ammaliandoci, ci fa smarrire tra la sua essenza di prospettive, seppur bidimensionali, sature di una realtà propria così analoga alla nostra attualità.
La provvisorietà delle sue figure, plastiche e possibiliste, sono tutte impregnate della stessa ironia gentile e inevitabile che contraddistingue tutti i disegni di Giardino.
Vero è che un approfondimento così esauriente non era mai stato proposto ai lettori, se non da un’altra angolazione eseguita anni fa con “L’ordine delle falange nere”, ed è comprensibile che possano indugiare esterrefatti di fronte a queste congruenze e follie dell’essere, magistralmente fermate sulla carta: ennesima fatica di Giardino.
No pasarán non cerca ne svincoli, ne vie di fuga, No pasarán è una piccola annotazione segnata sulla memoria dell’individuo consapevole degli autoritarismi che l’uomo ha imposto ai propri simili.
Un appunto preso dallo scritto dello stesso autore: “Eppure ancora oggi, per ognuno di noi, ci sono cose che non possono passare”.
Ora non ci resta che attendere il prossimo volume…

No Pasarán
Giardino Vittorio
Lizard Edizioni, 2000

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Stigmate

Eccola, storia agiografica di gente in blue-jeans e in minigonna.
Storia di credenti e creduloni, di zingari e zingarate, di timori e paure, di piaceri e amori.
Stigmate, piaghe, ferite, tagli, lacerazioni, tutti i segni possibili ed impossibili che vivono esteriormente e interiormente il nostro corpo, tormenti per tutti coloro che non tollerano incrinature alla propria personalità.
Storia di bianca neve che ricopre nere città, dove si trovavano squarci di nero china sul bianco carta, sporco che progressivamente si spande e che, nel corso della lettura, si appropria delle tavole.
Storia di alberi che penetrano case, di muri come barriere esterne e barriere interne che penetrano persone, dove le bianche lacrime dei personaggi fluiscono e si riversano tra il nero del sangue, dando origine a essenze cromatiche virtuali.
Storia semplice e complicata e per nulla edulcorata come solo la vita quotidiana può essere, dove il rispecchiarsi nella figure, che animano questo teatrino fumettistico, equivale al riflettersi sulle immote pareti dei nostri loculi abitativi.
Storia semplice, ripeto, simmetricamente semplice per essere così facilmente fruibile.
Forse, proprio per questo motivo merita di essere letta e visionata, un modo come un altro per fare un po’ di conti con noi stessi.

Stigmate
Lorenzo Mattotti,
Claudio Piersani
Einaudi Tascabili/Stile Libero, 1999

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La donna è in-mobile…

Lei è inconfondibile. Un’icona. Erotismo puro in punta di pennino. Una collezione di mobili per Valentina, personaggio di culto creato da Guido Crepax. Costruiti a partire dalle tavole del maestro del fumetto italiano. Una limited edition molto, ma molto particolare…
Alla sua prima apparizione, nel 1965 Valentina ha ventitré anni: a renderlo ufficialmente noto è la sua carta d’identità (pubblicata al dire il vero sette anni dopo, in “Intervista a Valentina”). Caschetto nero china, labbra carnose, occhi chiari, sgranati in un’espressione in cui si fondono felicemente stupore e sensualità: caratteri costanti che faranno di lei un’icona del fumetto italiano. Adesso si direbbe style icon, perché Valentina un suo stile ce l’ha, ed è inimitabile. Se ne rese conto subito pure il suo papà Guido Crepax che la fanciulla con i capelli alla Louise Brooks non era e non sarebbe mai stata solo un personaggio: perennemente sospesa in un intreccio di fantasie, sogni, ricordi, realtà, Valentina è erotismo sublimato, affilato, in punta di pennino. Dici icona, ma il corollario diretto si chiama merchandising e –al di là dell’immediata simpatia che può suscitare l’oggetto del personaggio preferito- il più delle volte ha effetti collaterali non felicissimi. Primo tra tutti lo scadere della qualità in nome della riproduzione, forsennata, pressoché totale. Ovunque e comunque. Quella di una collezione di mobili dedicata a Valentina (ma non solo a lei, ci sono anche Anita dattilografa e Pietro Giacomo Rogeri: altre due creature dell’immaginario fertilissimo di Crepax) poteva essere un’idea quantomeno rischiosa. Perché dal fumetto all’oggetto di design il passo non è breve. Lo sanno bene Manuela Pelizzon e Giuseppe Canevese, che si sono cimentati –produce l’italiana capodopera- in una serie di arredi dedicati alla celeberrima signorina Rosselli: partendo –e qui sta l’aspetto più interessante del progetto- proprio dalle tavole di Crepax, studiandone la struttura. Che non è fatto né scontato, né secondario. La costruzione d’una tavola è qualcosa di simile ad un montaggio cinematografico, è la grammatica della narrazione, una sorta di ritmo: capito questo è facile rendersi conto di che cosa abbiano di differente questi letti, cassettiere e comodini. Non si tratta semplicemente di riportare le immagini di Crepax sulla superficie dell’oggetto –ci spiegano i due designer- qui è la scansione interna delle tavole a disegnare e distribuire aperture, cassetti, proporzioni. Così al rigoroso, elegantissimo bianco e nero s’aggiunge un’ulteriore suggestione, quella di una relazione fortissima tra fumetto ed elemento di arredo. Sa un po’ di feticismo, forse, ma collima perfettamente col personaggio e con l’autore. Così la collezione –in realtà tre linee distinte, per ora limited edition: Valentina nel metrò, Pietro Giacomo Rogeri, Vita privata ed i mobili Kadhorna ed Anita dattilografa- declina la matrice pop in questi casi un po’ troppo scontata in favore di allure algida, di tagli geometrici, di forme minimali. Perché a Valentina s’addice di più la seduzione sottile, sul filo di una linea. mariacristina bastante
Valentina. Stupore e sensualità, occhi chiari, labbra carnose e l’inconfondibile caschetto nero, l’erotismo sublimato, come l’ha definita il suo papà Guido Crepax, ispira una serie di arredi firmati Giuseppe Canavese e Manuela Pellizzon. Una collezione di mobili limited edition, una trasposizione da fumetto a oggetto di design del celebre quanto controverso e complesso personaggio creato dal maestro dell’illustrazione italiano. Un’operazione difficile spiegano i due designer torinesi, al confine con quel corollario diretto costruito attorno un’icona di stile, quale è Valentina, che si chiama merchandasing.
Non si tratta semplicemente di riportare le immagini sull’oggetto. Il progetto in questo caso va oltre, parte dallo studio diretto delle tavole di Crepax, focalizza l’attenzione sulla loro struttura interna, sul montaggio quasi cinematografico dell’ evento narrativo e sulla sua costruzione. E’ il disegno, così, che trova un suo spazio sulla superficie dell’oggetto ed è la scansione interna delle tavole che crea, dispone e suggerisce essa stessa gli spazi, le aperture e le proporzioni del mobile
La suggestione dell’elegante bianco e nero del disegno si lega in questo senso ad un’altra fortissima suggestione, quella tra fumetto ed elemento d’arredo, che declinata la matrice pop, forse tropo scontata, sceglie uno stile duro, rigido, fatto di tagli geometrici e linee spezzate, minimale ed incisivo quanto la seduzione sottile di Valentina.

Designer: Giuseppe Canevese Manuela Pelizzon con Caterina Crepax
Ditta produttrice: Capo d’opera S.r.l. Via Fornaci 23 – 31020 Revine Lago Treviso
www.capodopera.itcapodopera@capodopera.it

bibliografia:
In arte… Valentina – Crepax Guido,  Editore Lizard, 2001, 80 p., € 14,72
http://www.eracle.it/eroine/valentina.asp

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OMBRE ARCANE
I MUSEI DEL MISTERO

Dante Alighieri, la setta dei Fedeli d’Amore, gli Accoltellatori di Ravenna, una universitaria curiosa, uno stravagante cultore di storia locale ed un oggetto che proviene da un remoto passato; che cosa possono avere in comune con i musei della provincia di Ravenna? E quale mistero lega tra loro alcuni musei del Sistema Museale Provinciale? A questi interrogativi trova risposte l’albo a fumetti prodotto dal Laboratorio per la didattica museale della Provincia ravennate.
Certo, frequentare l’università è ancora più degno di attenzione se comporta l’investigazione sulla scomparsa di un prezioso oggetto, avvolto nel mistero, a spasso tra musei ed enoteche. Lo stesso divino Dante è riproposto sotto una veste nuova, mentre la cittadina ravennate, fumettata, fa da fascinosa cornice bizantina alle avventure dei due protagonisti. Una ambientazione in questa storica e suggestiva Ravenna con un giallo tinto di sovrannaturale, a cavallo tra il passato dantesco e il presente dei due giovani studenti in veste di detective. Un vero mistero padano che, iniziando ai tempi di Sommo Poeta, si interseca nelle varie epoche storiche per tingersi di giallo ed esoterismo, culminando in una appassionante “caccia al tesoro” all’interno di alcuni musei provinciali.
Su commissione della Provincia di Ravenna, in collaborazione con il Sistema Museale della Provincia, nasce dunque I musei del mistero – Ombre Arcane, il volume a fumetti scritto a quattro mani da Massimo Marcucci e Gianni Barbieri (già sceneggiatore di Lazzarus Ledd e Samuel Sand), disegnato da Riccardo Crosa (autore di Rigor Mortis).
L’idea di raccontare i musei attraverso il fumetto è venuta naturale quando si è pensato di realizzare un prodotto adatto ad incuriosire il pubblico più giovane, per il quale il museo è spesso sinonimo di noia. Il fumetto è stato scelto perché lo si considera un linguaggio in grado di raccontare non solo a parole ma anche visivamente i musei, i cui ambienti ed allestimenti sono stati riportati fedelmente sulle tavole; si è voluto inoltre mostrare momenti della vita dei musei, cogliendo il personale intento in attività didattiche, di allestimento di mostre, di catalogazione, di restauro. Ecco perché un fumetto di 64 pagine, per far meglio conoscere ai lettori i musei della provincia e della città.
A corredo della storia l’albo ha una interessante sezione di note per l’approfondimento, allo scopo di distinguere la realtà dalla finzione narrativa, cioè quanto, nella storia, sia frutto di fantasia e quanto corrisponde alla verità.

bibliografia:
OMBRE ARCANE : I MUSEI DEL MISTERO  di Gianni Barbieri e Riccardo Crosa, brossurato, pp. 80, in b/n Euro 9,00
http://www.riccardocrosa.com/capitolodet.asp?id=6&c=11
in/provincia – rivista bimestrale della Provincia di Ravenna, n. 2/2004

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L’icona Batman

“I criminali, per natura, sono una genia codarda e superstiziosa” (Batman)

Nel suo significato originario l’icona indica, per l’arte religiosa bizantina, russa e balcanica, l’immagine sacra dipinta su legno, metallo o vetro e decorata con materiali preziosi, spesso utilizzata come simbolo tribale, o come maschera dagli stregoni nei riti comunitari dei primi raggruppi umani. Ancor più spesso veniva utilizzata come segno che, pur senza un rapporto naturale di continuità con ciò che designa, possiede, rispetto ad altri segni di significante completamente arbitrario, un rapporto di somiglianza con la realtà denotata, effetto comparabile nella storia di una delle icone, appunto, di maggior rilievo nel fumetto internazionale: Batman.
I significati di icona, innanzi proposti, calzano perfettamente al mondo dei supereroi o, comunque, di quei personaggi della comics fiction (fumetto) che tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta fecero il loro esordio sul mercato editoriale americano come una proposta alternativa alla dura realtà, gli anni ’30, che non lo si dimentichi, erano gli anni successivi alla grande depressione e del gangsterismo.
Tra queste raffigurazioni, agnostiche di base, Batman è un esponente di spicco proprio perché, ammantato nelle vesti del pipistrello, utilizza questa allegoria per incutere il terrore nei criminali, l’icona del bene contro il male. Batman fa la sua prima apparizione nel numero 27 di Detective Comics, del Maggio 1939, nato dalla fantasia e dall’arte di Bob Kane per l’allora National, oggi DC Comics, come uno dei più famosi personaggi dei fumetti. Si tratta di un personaggio atipico, che nasce nel momento stesso in cui un bambino, in una notte terribile e oscura, assiste all’omicidio brutale dei propri genitori a causa di un ladro. Quel bambino, impotente davanti al ladro-omicida, faceva quindi un giuramento: vendicare e onorare la morte dei genitori “spendendo il resto della mia vita a combattere contro tutti i criminali”, e cresce preparandosi per il compito che si è assegnato: contrastare il crimine per impedire che quanto gli è accaduto possa accadere ad altri. Per questo motivo trascorre l’intera propria giovinezza cercando di diventare quella icona che, nella propria mente, avrebbe già dovuto essere; il difensore dei propri genitori, prendendo atto di quel dramma passato che conserverà inciso in una personale futura e segreta solitudine.
Bruce, crescendo, intraprende molti degli studi che ritiene più utili allo scopo di una lotta contro il crimine, oltre a curare ed allenare il suo corpo per diventare il più atletico e forte possibile, ininterrottamente esortato dalla determinazione di punire. Quando, infine, si trovò pronto, comprese che l’unica cosa che gli mancava era proprio una icona, un simbolo dietro il quale nascondersi, per incutere il timore agli ingiusti e dare sicurezza agli innocenti. Una notte, mentre era assorto su questo dubbio, un pipistrello spalancando le finestre irruppe nella stanza offrendo, dall’alto dei cieli, il simbolo per il suo futuro, per la sua leggenda. È ipotizzabile che l’idea di un gigantesco pipistrello che incute terrore possa fondare le proprie radici nella tradizione dei racconti gotici, narrazioni popolate da creature mostruose che immancabilmente spaventavano coloro che trasgredivano allontanandosi dalle leggi civili. Si può, anche, ipotizzare che il costume sia costruito su quello di Superman, che aveva visto la luce qualche anno prima, e che per ovvi motivi vi fosse la necessità di diversificarsi da questi.
Quindi, Bruce Wayne si dissimula da pipistrello per spaventare i criminali, notoriamente superstiziosi. Forse dietro alla scelta di Bob Kane possono non esserci state riflessioni, probabilmente era solo affascinato dall’idea del suo personaggio, senza rendersi conto delle sue potenzialità simboliche intrinseche: l’ideatore di Batman non si rendeva conto che stava fondando un futuro mito, una costante icona.
La caratteristica oscura della personalità di Batman si salda con il tratto tenebroso della sua icona, richiamando la modalità di fruizione dell’ambiente che l’Uomo Pipistrello vive, esprimendo un sogno, un’utopia di integrazione profonda tra la forma percepita e la rappresentazione mentale e, in particolare, donando sostanza ad un vissuto tragico.
Nell’attualità contemporanea possiamo individuare una figura che agisce allo stesso modo: quella del terrorista kamikaze. Si differenzia solo per il modus operandi: Batman, come il kamikaze, è un fanatico.
È d’obbligo ricordare che questa dimensione psicologica non è sottolineata da tutti gli autori, ma comunque impregna a tal punto l’azione dell’eroe da trasparire praticamente in ogni sua avventura. Persino l’epiteto di “Cavaliere” è indicativo di una precisa mentalità: come l’immagine più classica del cavaliere, del ciclo mitologico del Sacro Graal; personaggi consacrarsi ad un unico credo e disposti a scomparire nel tentativo di perpetuarlo. Storicamente i crociati e i templari adottavano una forma simile: imbevuti di fanatismo religioso, al pari dei mori, avanzavano impavidi seguendo un unico scopo, la presa di Gerusalemme per restituire l’equilibrio legittimo.
Batman, dunque, è un fanatico, ma pur sempre rimanendo abbastanza lucido da distinguere, secondo una logica piuttosto manichea, tra innocenti e colpevoli, tra vittime e carnefici immersi nel loro esistente contrasto insanabile.
Si tratta appunto della inscrizione notturna della icona Batman. La notte, in cui egli primariamente vive, riporta agli archetipi dell’immaginario fantastico, a tutti i simboli, specie a quelli della Caverna, intesa come passato remoto, il luogo originario. Ed è proprio nella Caverna, Bat-caverna, che si salda così il passato e il presente, un luogo di perfetto sincretismo. Non si può evitare, altresì, di menzionare l’icona del pipistrello come sagoma del vampiro, l’uccello notturno, la creatura alata che volteggia fra architetture e guglie gotiche, composizioni che rinviano a una precisa antichità sulle quali l’icona del Pipistrello si staglia netta. In fondo, proprio perché Batman si rinchiude, attraverso questa icona, in una condizione talvolta davvero singolare e particolare, egli può anche giocare a fare l’eroe della notte di Gotham City, immerso in una componente che rimanda al segreto, al mistero, e al tema dell’immagine inimmaginabile. Tutti tratti che riportano a un retroterra romantico, con una icona riferita al quel romanticismo che ricorda il tema del bellezza, in tutti gli aspetti, perversi, di questa immagine, con la condivisione di due personalità, divise solo da una maschera. Bruce Wayne è una personalità in fase di scomparsa, sempre più fagocitata da Batman, tanto che finisce per rivelarsi solo quando è necessaria la sua influenza. Di fatto ciò che tiene in vita Bruce Wayne è il suo dovere, cioè l’essere  il portatore dell’icona dell’Uomo Pipistrello.
Una icona tetra, dominata da un tormento cronico, dove l’oscurità si rivela come l’espressione concreta del personaggio, del suo mondo interiore ed esteriore. Infatti, egli vi si muove con agio, con familiarità, ne conosce i segreti, sa trasformare le trappole in vantaggi, come quando sfrutta le ombre per mimetizzarsi. La notte è l’universo di questa icona, tanto interiore che esteriore, è il mondo che ha scelto. È come una malattia, una lacerazione, una divisione intrinseca. È dall’oscurità che gli conferisce il potere derivante dal mistero, dall’ignoto, dall’indefinibile. Infatti, nelle sue azioni giornaliere può rivestire solamente l’aspetto di un eroe forzuto con una tutina aderente.
Sembra dunque che l’oscurità di Batman inneschi un duplice meccanismo. Da un lato essa si rivela un’alleata indispensabile nella quotidiana lotta alla criminalità, dall’altro essa costituisce una sfida per i malviventi pazzi e genialoidi, che si trovano a loro agio deificando in quella minacciosa icona le proprie paure.
Quindi, Batman si trova prigioniero di se stesso, prigioniero della propria icona, vessillo di quella differenza che troviamo tra lui e i criminali che affronta, diversità che rimangono solo nella direzione morale del suo agire: Batman tende al bene attraverso metodi machiavellici, mentre i suoi nemici tendono al male.
In un certo senso, l’icona Batman è costituita da una natura positiva in costante contrapposizione a una tendenza distruttiva, vendicativa. Il detective brillante e razionale, che agisce nella piena osservanza di un proprio sentito senso della giustizia, si bilancia con il guerriero feroce, con il cavaliere nero deciso ad usare ogni metodo, lecito o no, per spazzare via il nemico. E in questa perenne, sofferta, ricerca dell’equilibrio è contenuto tutto il fascino della icona. Essa riguarda sfere differenziate del personaggio, tali da mostrare un pregio e, al tempo stesso, una contraddizione, ma insieme una loro continua vivificazione.
Una icona che funziona da Nemesi del Male, da giustiziere dello spazio notturno della Metropoli, che vive costantemente il confine, la frontiera, la linea che sottilmente separa la vita dalla morte, la notte dal giorno e vive, o meglio sopravvive, su quella demarcazione ove il caos e la morte sono sempre più vicini.
Il primo Batman è violento, spietato, mortale e, forse, anche un po’ cinico, in linea con i tempi. Negli anni a seguire le avventure di Batman perdono di carattere diventando esagerate e iperboliche e, nel decennio ’70 e ’80, il successo del supereroe rimane altalenante. Solo in seguito, si riscontrerà una notevole ripresa di stile. Sebbene siano molti gli autori e i disegnatori che si sono cimentati nel riproporre la nascita del supereroe, ognuno scegliendo un approccio diverso e realizzando storie anche diametralmente opposte, fra gli creatori che hanno saputo farsi apprezzare sia dagli appassionati, sia dalla critica stessa e tra le grandi storie da ricordare, hanno un posto di privilegio le cosiddette due “origini” ufficiali: la classica, di Bob Kane, e la moderna, di Frank Miller artista completo e di assoluto valore.
Una differenza fondamentale tra il Batman di Bob Kane e quello di Frank Miller sta nel livello di umanità del personaggio, o meglio, nel livello di trasposizione della stessa icona. Entrambi sono eroi che compiono imprese straordinarie, per non dire incredibili, ed entrambi godono di una sorta di immortalità che gli dona la propria  icona.
E il Batman moderno? È un uomo estremamente solo, che divide le enormi e vuote stanze della villa Wayne e le tenebre della Bat-caverna unicamente con Alfred Pennyworth, il suo fedele maggiordomo, l’unica persona alla quale sia affezionato; lo si potrebbe, a buon diritto, definire una celata icona di solitudine.

bibliografia:
Batman dagli anni 30 al 70, A.A. V.V., Milano Libri
Batman Il ritorno del cavaliere  oscuro, Frank Miller,  Play Press 1996
http://www.dccomics.com/features/batman/ (sito ufficiale – inglese)
http://xoomer.virgilio.it/batmanerobin/  (sito amatoriale – italiano)

Accenni cinematografici
Il 12 Gennaio del 1965 fa il suo esordio una nuova serie televisiva, destinata ad accogliere consensi e successi in tutto il mondo: trasmessa dall’americana ABC, il suo titolo era Batman.
I panni del Cavaliere Oscuro vennero vestiti da Adam West, mentre Robin da Burt Ward e Alfred da Alan Napier. La serie (tre stagioni per un totale di 120 episodi), ben lontana dal Batman di Kane e Finger, era decisamente ispirata al Batman di Dick Sprang, un eroe che si trovava spazio anche per il sorriso, mentre i suoi avversari ideavano piani sempre più astrusi e macchinari decisamente assurdi e giganteschi.
Nonostante tutti questi elementi, che non erano molto diffusi nei fumetti dell’epoca, creassero spesso una miscela al limite del ridicolo o del farsesco, la serie ebbe un enorme ed ancora oggi viene citata con affetto dagli appassionati del personaggio.
Negli anni Quaranta, agli albori del cinema, quando ancora gli effetti speciali erano nulli e i supereroi stavano iniziando a muovere i primi passi, le case di produzione preferivano produrre dei veri e propri serial cinematografici composti da corti di un quarto d’ora, venti minuti al massimo, trasmessi in abbinamento con i film più importanti programmati in quel periodo. L’idea aveva il duplice effetto di far appassionare gli spettatori al personaggio e costringerli, così, a tornare al cinematografo per sapere come andava a finire la vicenda e vedere, poi, un nuovo film. Ovviamente nemmeno Batman sfuggì, e divenne protagonista di ben due serie, la prima nel 1943 e la seconda nel 1949
Quando poi negli anni Sessanta si affacciarono sulla ribalta personaggi come l’Uomo Ragno e gli altri eroi Marvel, utilizzando spezzoni delle puntate della già trasmessa serie televisiva, venne realizzato un film-collage, in un certo senso primo lungometraggio di genere supereroico del cinema statunitense. Gli anni Ottanta si avviano alla conclusione: Frank Miller e David Mazzuchelli hanno riscritto, in meglio, il mito batmaniano, e, soprattutto, il Joker ha finalmente iniziato ad uccidere le persone care al Cavaliere Oscuro, proprio come tutti si attendevano sin dalle origini. A quel punto la Warner Bros, che ha da alcuni anni assimilato la DC Comics, mette in cantiere il primo vero film su Batman: è il 1989 e il compito viene affidato al regista Tim Burton:
1943: Batman
1949: Batman and Robin
1966: Batman
1989: Batman (di Tim Burton)
1992: Batman – Il ritorno (di Tim Burton)
1995: Batman forever (di Joel Schumacher)
1997: Batman & Robin (di Joel Schumacher)
2005: Batman Begins (di Christopher Nolan)

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