Gianni Celati ‘Lunario Del Paradiso’

 

“Non bisogna buttare via i sogni solo perchè non si è riusciti a raccontarli bene; altrimenti si diventa dei frustrati che disprezzano tutto. Bisogna curarli finchè trovano le loro parole adatte, la loro aureola” (Gianni Celati)

“Lunario del paradiso” è il ricordo della gioventù che si fa vita, il tentativo di sottrarre alla nebbia del tempo un’avventura e una stagione incredibile della vita dell’autore, e allo stesso tempo una promessa mantenuta ad amici ormai lontani.
Gianni Celati, 40 anni passati (siamo nel 1978), decide di riesumare dai cassetti della sua memoria un viaggio fatto all’incirca 20 anni prima in Germania, un’odissea durata un anno o giù di lì: partito vuoi per uno sbilenco ed improbabile amore per una giovane tedesca di nome Antje, vista l’estate prima in vacanza al mare (dieci minuti di chiacchiere e niente più), vuoi per la smania, la frenesia giovanile e la voglia di scoprire il mondo, “Ciofanni” arriva in un paesino nel mezzo dell’Europa dove riesce a farsi ospitare dalla famiglia della giovane ragazza: lei freddissima e lontanissima, il padre, “Herr” Schumacher, un vecchio nazi invasato, sporcaccione e rappresentante di lampadine, fissato con l’Olanda, il progresso e le visioni del paradiso; il fratello Jan che puzza di sudore e la mamma teutonica provocante come non mai.
Di qui una serie di irresistibili vicende tragicomiche nelle quali il protagonista si lascia trascinare, sommerso da amori impossibili, desideri e impulsi irrefrenabili: la relazione con un’altra, più spigliata ragazza, l’amicizia e la convivenza con due pestifere gemelline di dieci anni, e ancora Tino losco trafficante, ciclisti assassini, la Gestapo che ancora non è scomparsa e mille altri strampalati personaggi.
Riscritto completamente nel corso degli anni Novanta, le lacune della memoria sono, specie nel finale, a volte insanabili, e di questo l’autore se ne scusa direttamente nel racconto: ma in fondo “Lunario del Paradiso” è proprio il tentativo di Celati di fissare per l’eternità un pezzo della propria esistenza, altrimenti sfuggevole come la vita umana; allo stesso tempo, con questo piccolo capolavoro, l’autore riesce a sanare il debito con tutti gli amici che gli avevano offerto i mezzi per compiere questo assurdo viaggio, ai quali aveva promesso di raccontare le storie incredibili che avrebbe avuto a zonzo per l’Europa, donne e divertimenti e vita, vita. Molti morti, molti persi tra i meandri del tempo, Celati dedica “Lunario del Paradiso” alle loro anime, ovunque esse siano.
Su tutto una comicità di fondo strabordante, non si può che provare simpatia e affetto per il protagonista, sognatore, poeta, giullare e cavaliere, un Don Chisciotte adolescente del Secondo Novecento, dall’umore variabile come le stagioni, come le lune a volte troppo piene altre troppo vuote, ma con la coscienza che sta a noi cogliere i segni che il cielo ci manda. Che spesso, il paradiso, è proprio dietro l’angolo.

BIBLIOGRAFIA
Lunario del Paradiso (1978)
Narratori delle pianure (1985)
Quattro novelle sulle apparenze (1987)
Parlamenti buffi (1989)
Verso la foce (1989)
Narratori delle riserve (1992)