Re Nudo, Fallo!, Puzz, i Gatti Selvaggi e ancora le Pantere Bianche…
Di Silvia Casilio
Re Nudo, Fallo!, Puzz, i Gatti Selvaggi e ancora le Pantere Bianche, “erba e fucile”, LSD e le sostanze psicotrope, pop-festival e ideologia della festa: chi voglia saperne di più non potrà prescindere da questo bel lavoro, fresco ed originale, firmato da Alessandro Bertante.
Protagonista del libro sono le gesta, confuse e contraddittorie, caotiche ed affascinanti, di Andrea Valcarenghi e compagni che dopo l’esperienza beat e provo degli anni Sessanta e le turbolenze della contestazione Sessantottesca diedero vita ad una delle riviste più importanti e rappresentative del panorama underground italiano: “Re Nudo”.
Era il 1970 quando Andrea Valcarenghi, dopo essere stato ospite delle patrie galere per possesso d’erba, decise di pubblicare un periodico che raccogliesse l’eredità delle riviste autogestite prodotte dai gruppi beat italiani. La scelta del nome fu difficile: “Cappuccetto Rosso”, “Controgiornale” o “Re Nudo”? La scelta, infine, cadde su quest’ultimo: come nella favola omonima la rivista avrebbe dovuto «smascherare il potere». Memore dell’insegnamento delle pratiche dei provo, Valcarenghi e soci pensarono bene di lanciare la rivista tappezzando i muri di Milano con la domanda «Re Nudo?». La bizzarra trovata pubblicitaria risultò particolarmente felice: solo nella città lombarda furono vendute ben 8000 copie del numero zero.
Iniziò così la storia di questo giornale che, tra scissioni e colpi di mano, tra spaccature e continui cambi di posizione, cercò di seguire la nascita, lo sviluppo e la crisi di quella che da più parti è stata definita la stagione dei movimenti, una stagione che nel nostro paese prese l’avvio nella seconda metà degli anni Sessanta e che si concluse, travolta dal terrorismo rosso e nero e da una violenza sempre più diffusa, alla fine del decennio successivo.
L’unico rimprovero che ci sentiamo di rivolgere a Bertante è la scelta delle fonti: il suo lavoro sicuramente coraggioso – poiché si propone di indagare un fenomeno, quello controculturale, che solitamente la storiografia che si è occupata degli anni Sessanta e Settanta ignora quasi completamente – avrebbe meritato un maggiore approfondimento. Il bel libro di Primo Moroni e di Nanni Balestrini, ‘L’orda d’oro’, a cui Bertante fa costante e continuo riferimento è sicuramente uno strumento utile e prezioso per avvicinarsi a quegli anni e a quei movimenti ma esso non è sufficiente per avere un’idea precisa della complessità del periodo. Maggiori riferimenti alla stampa del tempo, una più approfondita analisi dei quotidiani della sinistra extraparlamentare e magari un’incursione tra le carte di polizia custodite presso l’Archivio Centrale dello Stato avrebbero contribuito ad arricchire il già notevole lavoro di Bertante e avrebbero meglio chiarito il contesto politico-sociale in cui maturò il sogno di una rivoluzione controculturale al grido di “cambiamo la vita prima che la vita cambi noi”.