Franco Beat ‘Vedo Beat’

(Snowdonia/Audioglobe 2006)

“Vedo Beat” metabolizza e unisce diverse esperienze culturali: frammenti documentari tratti da “Mondo Beat”, edito da Stampa Alternativa a cura di Matteo Guarnaccia; idee di Marcello Marchesi ed Ennio Flaiano, estrapolate rispettivamente da “Il meglio del peggio, dal boom allo sboom” e “La solitudine del satiro”; intuizioni letterarie e musicali di Franco Beat. Queste ultime, diciamolo subito, sono consistenti e complesse: foriere di un “concept album” che unisce – per restare alle esperienze di casa Snowdonia – la coesistenza di pezzi cantati e parlati stile “Gli anni di Globiana” dei Le Masque e la fascinazione post-progressiva dei “Tredici piccoli singoli radiofonici” degli Aidoru (il loro batterista Diego Sapignoli suona, e come!, le percussioni e la batteria in Imprecazione N°14), il gruppo a cui Franco pare più vicino per ragioni geografiche e musicali.
Nella sua auto-presentazione, Franco Beat parla di “un disco quasi parlato, dove la parola fa la parte del leone”: e i brani detti sono importanti nell’economia del progetto, soprattutto quando ad esprimersi sono gli umori irregolari di Marchesi e Flaiano. Ma a parere di chi scrive è la musica a fare la differenza: e di buone sonorità il CD è pieno. L’eclettismo furibondo dei brani, il passare da accenni di tastiere “retrò” (Ricami di bile) a percussioni “avanguardiste” (Imprecazione N°14): sono queste le caratteristiche precipue di “Vedo Beat”, che sfociano in un “multistrato” pop-rock di grande acribia nell’arrangiamento (che nei risultati ricorda un poco, non se abbia a male Franco Beat, le produzioni più riuscite dei Bluvertigo: sentire Ciao caro), come un Todd Rundgren – come lui, suona quasi tutti gli strumenti (tranne la batteria, appannaggio precipuo di Nicola Pizzinelli e sparsi interventi del chitarrista Michele Barbagli, che arricchisce Ricami di bile e 4 omini e 4 gatti, del bassista Marco Battistini in Ricami di bile e del Fender Rhodes di Guido Facchini in Tempi acidi) – o un Ron Mael romagnolo.
Passando ad una analisi maggiormente particolareggiata di alcune delle 98 tracce del CD (non tutte “piene”, tranquilli!!), possiamo iniziare con “l’anthem” di Franco Beat, ovvero Amore utilitario, due minuti e ventuno secondi di “indie-pop” assassino ad accompagnare un testo di lucida follia: eccezionale la voce sempre più “paperinesca” nel finale. Tracce di “glam-rock” alla sopraccennati Sparks si riscontrano in Sfasciare delle macchine in giugno (il coro filtrato); invece Il paradiso degli uomini fottuti – sonorizzazione di una poesia beat di Silla Ferradini – esce dritta dritta dagli anni Novanta belgi (ovvero Deus). Bisogna riconoscere che al musicista in questione piace il rock, come dimostra Un libro (mi scuso ancora, mi ricorda gli Afterhours di “Hai paura del buio?”).
In conclusione, un altro centro della Snowdonia: per comunicare con loro, contattate l’etichetta presso
snowdonia@snowdonia.it

Voto: 7

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