Koji Asano ‘Spring Estuary’

(Solstice 2005)

Koji Asano è un giovane e brillante compositore, da tempo ardente estimatore del viaggio: Asano ha mosso le proprie radici dal Giappone abbastanza presto, girando e trattenendosi in diverse città importanti del vecchio continente, tra le quali Londra e Barcellona, dove il musicista sembra abiti tutt’ora.
Koji è un’artista che racchiude l’autentica espressione del musicista ‘tutto fare’, dalle belle speranze, che non demorde mai e si ostina a pubblicare dischi affannosamente. Un ritmo produttivo vivace e sostanzioso che lo ha visto con tutte le forze impegnato nel far uscire, attraverso il ‘modico’ arco di tempo, compreso tra il 1999 e l’anno in corso, la titanica cifra di 39 album.
Tutti quanti i dischi, ricordiamo, rigorosamente auto-prodotti mediante la creazione-gestione della personale etichetta, Solstice; con la quale sono stati licenziati supporti ben curati ed eleganti nell’aspetto, in cui le copertine ritraggono affascinanti e colorati aspetti naturali(stici).
La decisione di battezzare l’arte sonora di Asano ‘vasta’ si spiega nell’abito indossato da ‘multi strumentista’ e da ‘multi sperimentatore’, provvisto di uno sguardo aperto a 360°, che lo porta a direzionarsi verso più percorsi: ogni album sembra seguire un tema, o meglio una sperimentazione precisa, sia essa acustica o elettro-acustica, sia essa di pura elettronica o a base di soli field recordings…
Questo fatto, però, non sembra rappresenti per forza di cose un bene e difatti non ricordo proprio con tanto entusiasmo le tre uscite incrociate di qualche anno fa che me lo fecero conoscere: “The Giant Squid”, “Wind Gauge” e “Zoo Telepathy”, equilibrate tra frastornanti esperimenti noise con un violino e discorsi più calmi di matrice ambient.
Anche il lavoro che andiamo a presentare alla bisogna, “Spring Estuary”, si edifica sopra movimentazioni di stampo ambient(ale), una scrittura sentitamente malinconica accompagna costantemente la mano del giapponese, durante la stesura del lavoro: il cd è composto da una sola suite dalla durata medio-lunga, divisa in quattro segmenti (o sentieri) dall’anima diversa e che, naturalmente, prende il nome dal titolo che battezza il lavoro. I primi tre brani scorrono attraverso tempi piuttosto brevi, mentre l’ultimo atto si espande, come un ventaglio in piena apertura, sopra spazi (iper)dilatati che sfiorano la mezz’ora abbondante.
Dalle armonie reiterate e dall’anima dissolta figura la prima parte, in cui lo spirito si identifica al meglio con le tristi melodie di un William Basinski. Il secondo episodio si avvicina con più vigore a richiami oscuri, vicini per estetica all’ambient isolazionista e glaciale di Main e Biosphere, ma dirige in parallelo anche maggior attenzione ai campionamenti esterni: il rumore di un piano che suona in lontananza e si contrasta con i drones circolari suonati in ‘primo piano’. Ancor più stridente è la terza strada scelta che vede l’ingresso di un violoncello, o meglio ancora dell’eco distorto delle proprie corde, accarezzate con asprezza da un archetto. Di sicuro il suono obliquo (e non poco fastidioso) del violoncello elettrificato risulta tra i momenti meno interessanti e più grezzi di tutto “Spring Estuary”. Più incorporeo e mistico il lungo corridoio posto in chiusura, dove un prolungato fruscio di suoni (desertici) cammina diritto per la sua strada, facendosi accompagnare da lievi e intermittenti sottili rintocchi di qualche oscuro strumento.
L’ultimo assaggio è quello ideale per conoscere da vicino la migliore verve musicale di Asano, ossia in cui senza troppe pretese, attraverso l’amata ambient, formula materiale semplice e piacevolmente orecchiabile.
Ricapitolando, ad ascolto terminato captiamo, seppur le note non lo chiariscano bene, che il violoncello ed il pianoforte sono i due strumenti che donano maggiore ispirazione e protagonismo a tutto il tragitto.
Asano pare voler continuare a donare risalto in ogni suo lavoro, attraverso la manipolazione elettronica / elettro-elettronica, ad uno o a più strumenti acustici.
Egli ha scritto di continuo opere dando l’idea di paragonare la composizione ad una costruzione intercambiale, dove i pezzi vanno spostati per scoprire e sperimentare sempre nuove geometrie del suono: si è cimentato con partiture per piano, quartetti d’archi, gruppi di solo chitarre o di soli computers, ha ideato composizioni per danza e scritto colonne sonore per film e video-art.
A privilegiare in questo caso è l’elettronica, le diverse funzionalità che può intraprendere come strato di suono esteso, trasparente e sempre presente, ma soprattutto come filtro indispensabile per donare nuova linfa (e suono) a dei precisi strumenti.
Di sicuro controverso, il suono designato da Koji può farsi amare ed odiare allo stesso tempo, può provocare in un unico percorso emozioni altalenanti, può farti rilassare oppure farti irritare, ma sicuramente non può non affascinare la grazia con cui questo artista crea e propone un mondo autenticamente suo.
In bocca al lupo, Koji…

Voto: 7

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