David Kilgour ‘Frozen Orange’

(Merge 2004)

David Kilgour continua a rimanere noto al pubblico più quale componente dei seminali Clean (sempre e comunque all’ombra di Chris Knox) che come solista, nonostante che la sua produzione in questa veste sia, qualitativamente e quantitativamente parlando, di tutto rispetto.
‘Frozen Orange’ è il suo sesto album (annoverando anche l’uscita con gli Heavy Eights e la raccolta di demo e outtakes ‘First Steps And False Alarms’), il cui concepimento risale a quasi tre anni fa, allorchè Kilgour si trovava in tournée negli Stati Uniti con un gruppo di supporto composto, tra gli altri, da alcuni componenti dei Lambchop.
Quel tour ebbe come appendice alcune sessions di registrazione a Nashville, insieme con quegli stessi musicisti e con la supervisione di Mark Nevers, produttore dei Lambchop.
La curiosità, di fronte a questa nuova prova sulla lunga distanza del cantautore neozelandese, era, quindi, tutta nel senso del verificare se sul risultato di quelle sedute di registrazione nordamericane avesse influito la diversa provenienza, tanto geografica quanto artistica, dei collaboratori dei quali Kilgour si era circondato per l’occasione.
La prima differenza a colpire l’ascoltatore è costituita dall’essere gli arrangiamenti più articolati e “orchestrati” rispetto al passato, non solo se paragonati a quelli del precedente, assai scarno, ‘Feathers In The Engine’, ma anche a quelli di tutto il resto della produzione del Nostro: non più solamente elettrici, si arricchiscono qui della presenza di chitarre acustiche, piano ed emozionanti giochi vocali con cori che si espandono e ritraggono in sottofondo.
In secondo luogo, questo diverso modo di arrangiare connota nel complesso diversamente il sempre elegante e ben levigato pop di Kilgour, che da sottilmente psichedelico qual era (e quale ancora compare nei brani Dogs Barking e A Head Full Of Rolling Stones, per i quali, curiosamente, e non a caso, il Nostro torna ad essere accompagnato dai suoi Heavy Eights), rivela ora solari contaminazioni pet-sound (Gold In Sound), si mostra leggermente countryficato (Everybody Is On A Ride), o più marcatamente folk e financo pastorale (l’iniziale The Waltz, G Major 7), e strizza l’occhio al southern power-pop americano a lá Don Dixon, Mitch Easter e Chris Stamey, con abbondanza di piacevolissime chitarre jangly (Living In Space, Rocket e Blue Sky).
Tante novità che si innestano con naturalezza, senza impaccio nè imbarazzo, rendendo ancor più significativo ed esemplare il lavoro di questo maestro della musica pop contemporanea.

Voto: 10

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Autore: acrestani71@yahoo.com