Roberto Fega ‘Agosto Romano’


(Autoprodotto/S’Agita Recordings 2004)

‘Metafonie’ dello scorso anno era stato fulmine a ciel sereno, Fega
in quell’occasione ci prendeva per mano e ci mostrava le sue stanze interiori
senza indugio alcuno; erano luoghi dove la serenità regnava sovrana ed
il candore di certe intuizioni geniali lasciava a dir poco sgomenti nella sua
apparente semplicità e profondità.
Una visione innocente e luminosa dove ogni tanto si ammassavano nubi all’orizzonte
leggermente più scure.
Ora questo ‘Agosto Romano’ si prende la briga anche di svelare il lato
più sinistro dell’arte del buon Fega.
Composto e concepito durante la caldissima estate romana del 2003 ‘Agosto
Romano’ sembra realmente aver assorbito quella sensazione tattile di disagio
che si respirava a pieni polmoni durante quei lunghi mesi insopportabili, dove
il precedente ‘Metafonie’ muoveva lungo coordinate piuttosto libere
ed ondivaghe questo nuovo lavoro sembra esibire una maggiore dedizione al rigor
stilistico (orrida terminologia) muovendo una costante attenzione e cura nei suoni
che si tramuta in una plumbea visione metropolitana dove i silenzi non sono mai
stati cosi silenzi.
Roma poi è città che in certe stagioni ti colpisce come un pugno
allo stomaco per la sua svenevole aria marcescente costantemente in agguato nelle
strade, la visione delle pensiline degli autobus dell’Arco Di Travertino o dell’Anagnina
con l’asfalto che si scioglie sotto i piedi, le finestre aperte e le zanzare che
ti tolgono il sonno delle notti di Trastevere e del Pigneto; l’aria da cane bastonato
dei barboni spalmati lungo il perimetro della Stazione Termini. Le voci che si
rincorrono fino all’alba dei turisti ubriachi e le lenzuola sudate che ti si appiccicano
al corpo come un moderno sudario, tutto rientra in questo lavoro; il vivere nello
stomaco di questa grossa matrona che spesso apre le gambe e si vende per quattro
spiccioli.
Più elettronico e minimale ma con un’anima che batte in testa quando passano
voci e voci assolutamente svelatoria degli amori ed umori jazz e blues
che sotto sotto potrebbero essere la chiave di lettura esatta.
Degli attimi e dei passaggi ti rubano il cuore, la prima voce che si affaccia
dopo qualche minuto ad intonare un delizioso simil stornello molto mignottesco
nel nulla plumbeo che la circonda che la lacrimuccia ci tira fuori davvero incrociando
lo sguardo perso per un istante della Magnani più bella che ci sia
dato da ricordare, la battuta per un’altro breve attimo timidamente quasi exotica
che capolina dopo piccole goccie di pioggia digitale, i ricordi di fiati distanti
che potrebbero esser di casa Afk per la loro pronunciata aria Davis
e buon ultimo il respiro ansante dell’autore che svanisce nel finale su coda di
archi.
Durante una breve chiacchierata via internet mi diceva ‘Spero di aver creato
qualcosa di emozionante
‘.
Tranquillo Roberto; ci sei riuscito. Tutto a posto.

Voto: 8

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