Metal Urbain ‘Anarchy In Paris’

(Acute/Goodfellas 2004)

Ci sono voluti trentanni, svariate meteore, un pacco di cazzoni senza talento, due o tre capimastri e tanta manovalanza prima che qualcuno si decidesse (e finalmente!) di sdoganare i Metal Urbain al popolo. 1977: se Londra brucia, Parigi non è ignifuga, è difatti appresso allo stralunato Eric Dèbris che si raccoglie un gruppetto di agitatori sonori pronti ad incrociare riff à la Stooges e irruenze Sex Pistols a gelidi ritmi Cabaret Voltaire e a fratture industriali. Post-electroclash, volessimo tirarcela quel tantino che basta per far tirar fuori la testa a qualche stilista in vena di fregole pop e pronto ad abbracciare il trend prossimo venturo. C’è, invece, voluta la caparbietà di Todd Hyman e della sua Acute Records per rispolverare queste impazzite schegge. Metal Urbain fu ensemble avanti – anzi, al fianco – dacchè band senza tempo, e appare vieppiù chiaro oggi, in tempi di ARE Weapons, Electric Six e Rapture. Approcciarsi dunque a Anarchy In Paris! e ritrovare la freschezza di quegli anni in cui si incrociava il piombo all’oro fa tornare (quant’è che non succedeva?) la pelle d’oca. Furono proprio loro, primi ad accasarsi in una neonata Rough Trade (Paris Maquis, 45 giri del dicembre 1977 – RT001) a portare il punk transalpino fuori dai patri confini, e pure scena nerboruta dev’esser stata, ad ascoltare le 24 tracce del compendio. L’idea fu semplice, ma non per questo meno ghiotta: unire l’irruenza degli Stooges ai portatori (non sani) di elettronica; far figliare gli Hawkwind tra Johnny Rotten e i Suicide, usando l’idioma nazionale. Non male, considerato che noi si aveva Kaos Rock e Kandeggina Gang. Scorre e brucia nelle vene Anarchy In Paris!, sin dall’iniziale Panik, un venefico sibilare metallico, dove le Pistole hanno già un’immagine pubblica, ma dentro a piste da ballo corrose dal dopo bomba. E ancora il citato Paris Maquis, ove si sputano noccioline sui palmi delle mani del 90% delle band d’oggidì; o ancora Hysterie Connective, con un tiro sudicio che la DFA da alcuni pleniluni cerca con il lumicino, e – ci fosse stato un mondo giusto e sufficientemente intrigante – sarebbe finita almeno (ALMENO!) sul trono delle classifiche indipendenti. Ma non è tutto, visto che pure la minutaglia ha carati elevati: ecco allora che, a fianco di malsane gemme quali Lady Coca Cola (talamo e copula che non dev’essere sfuggita a Laibach) o Pop Poubelle, che è sì pop, ma bituminoso, emergono scosse telluriche tra Big Black (Albini non ha mai nascosto la sua fede nei confronti dei nostri) e i dimenticati figliocci Cassandra Complex, unici forse a prenderne in prestito le sequenze. Anarchie Au Palace discende da qui, così come Train Vrs2 (o Ultra Violence) omaggia(no) Vega&Rev, mentre Ghetto è uno scarno Gesù e La Catena di Maria pronto ad imbrattare il Louvre. E non è forse una putrida Sheffield quella che esce dagli scarichi di Fugue For A Darkening Island? Non è un incrocio tra Unknown Pleasures e Nag Nag Nag la litania vetriolica di Futurama? Non è punk elettronico che piscia sopra ai tentativi glam di Sigue Sigue Sputnik quello di Clè De Contact?
Che altro dire allora, cosa aggiungere che l’ascolto da solo non possa svelarvi? Metal Urbain è solo l’ultimo (per ora, visto che sono in cantiere le ristampe dei progetti collaterali Metal Boys e Dr.Mix & The Remix) tassello di una serie irripetibile di eventi, spesso sfortunati, sovente nascosti ai più, che resero davvero storico un periodo fecondissimo. Avvicinatevi dunque, Parigi val bene una messa.

Voto: 10

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