Boredoms

 

 

 

 

 

 

Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza, 20 novembre 2003

Certo che nell’era delle drum-machine, dei laptop e dei sequencer, presentarsi con tre batterie è il colmo dell’impudenza. E forse proprio questo ha pensato Yamatsuka Eye (ora ritornato a farsi chiamare Yamantaka) nel momento in cui ha assortito il suo complesso per lanciarsi in un tour nei teatri di tutto il mondo e approdare per la prima volta in Italia. In realtà, anche se Yamatsuka e la batterista Yoshimi-p.We sono membri fondatori dei Boredoms, è un po’ fuorviante utilizzare questo nome visto che il progetto in questione si chiama ufficialmente (sempre che si riesca a pronunciare) V∞REDOMS. Tre batterie, dicevamo, più lui, Yamatsuka, alla voce, all’elettronica, ai dischi e chissà cos’altro. Tre uomini e una donna (Yoshimi) disposti in cerchio per coordinare al meglio i cambi di tempo. Nessuno tra il pubblico sa di preciso cosa aspettarsi. E non è nemmeno facile descriverlo a posteriori questo concerto. Non che sia stato oltremodo complesso, anzi, tutt’altro, ma proprio per questo esula dal classico repertorio del gruppo (se si escludono alcuni capitoli della serie Super Roots). Niente hardcore, quindi, così come niente noise, niente freakerie. Ma bisogna ascoltarlo per rendersi conto di quanto fischino le orecchie alla fine.
Lo spettacolo si compone di un unico pezzo della durata di un ora circa, una sorta di jam nella quale tuttavia l’improvvisazione ha poco spazio e tutto sembra calcolato al secondo. Dopo un’introduzione a mo’ di ouverture i batteristi si lanciano in una corsa incalzante sulla quale Yamatsuka stende le sue elucubrazioni elettroniche. I ritmi sono indubbiamente rock, ma le tecniche utilizzate tradiscono una consuetudine con il jazz moderno (diciamo Joey Baron). Viene da pensare ai gruppi tedeschi (soprattutto Neu!), alla musica cosmica (Tangerine Dream) e, soprattutto nella seconda parte, alla new age vera e propria. Una sorta di versione colta, se non seria, dei Boredoms, un flusso continuo che ha il respiro più della musica classica che del concerto rock, un’attitudine che se pur sfiora la parodia (nei virtuosismi all’unisono i batteristi sembrano alludere alle evoluzioni a coppia di un Tullio de Piscopo!) si assume tutta la solennità necessaria alla situazione. Nessuna pausa e dopo un’ora ininterrotta il gruppo saluta educatamente ed esce di scena senza “prendere gli applausi”, né tanto meno concedere il bis. Il concerto è finito, andate in pace. Amen.

Massimiliano Osini <maxosini@hotmail.com>