The Go-Betweens ‘Bright yellow bright orange’

(Clearspot – 2003)

I Go-Betweens sono una delle tante misconosciute perle musicali prodotte dall’Australia nel corso degli anni Ottanta, decade durante la quale hanno vissuto in uno strano, e (non è difficile immaginarlo) frustrante limbo colmo di solitudine, perennemente sospesi tra entusiasmo della critica e pressochè totale disinteresse da parte del grande pubblico, per non parlare dell’assoluta incomprensione nei loro confronti da parte degli operatori discografici.
Dopo cinque epocali e, va da sé, trascuratissimi, album (“Send me a lullaby”, “Before Hollywood”, “Spring Hill fair”, “Liberty belle and the black diamond express” e “Talulah”), la sorte parve finalmente cominciare a sorridere alla band australiana guidata da Robert Forster e Grant McLennan nel 1988, all’indomani della pubblicazione del sesto album, l’elegiaco e sublime “16 Lovers Lane”, allorchè venne invitata ad aprire per i R.e.m. durante parte del tour successivo all’uscita di “Green”. Ironia della sorte, tuttavia, questo momento rappresentò il “canto del cigno” dei Go-Betweens decretandone al contempo la fine, poiché, di lì a poco, nel 1990, il gruppo si sciolse e il duo Forster/McLennan, anima della formazione, si concentrò sull’attività solista.
Nel corso degli anni Novanta Forster ha licenziato quattro album (“Danger in the past”, “Calling from a country phone”, “I wish I had a New York girlfriend” e “Warm nights”) e altrettanti ne ha pubblicati McLennan (“Watershed”, “Fireboy”, il doppio “Horsebreaker Star” e “In your bright ray”), il quale ha anche duettato con Steve Kilbey dei Church, con il nome Jack Frost, (dando alla luce due lavori -omonimo il primo, mentre “Snow job” è il titolo del secondo) e formato un’altra band, Far Out Corporation, con la quale ha licenziato un solo, omonimo, cd.
A dimostrazione che della bellezza e importanza di una cosa si finisce spesso per accorgersi quando quella cosa non c’è più, il vuoto lasciato dalla scomparsa dei Go-Betweens non deve essere passato inosservato, non solo, com’è ovvio tra i suoi appassionati, ma anche (incredibile a dirsi) nell’ambito dell’industria discografica, che tanto platealmente li aveva snobbati.
Gli anni immediatamente successivi hanno infatti visto prima la ristampa su cd, ad opera della Beggars Banquet, dell’intera discografia del gruppo e poi, mentre cominciavano a diffondersi voci circa una possibile riunione della band, la pubblicazione, grazie all’americana Jetset, del cosiddetto “Lost album” ossia una raccolta di registrazioni, risalenti alla fine degli anni Settanta, comprensiva dei brani tratti dai due primi 7”, “Lee Renick” e “People say”.
Tutto questo ha ovviamente contribuito a mantenere vivo l’interesse per la formazione australiana e, coma poc’anzi accennato, intorno alla metà degli anni Novanta presero a girare voci circa una sua possibile riunione, voci divenute alla fine una realtà con la pubblicazione, nel 2000, di “The friends of Rachel Worth”, registrato nei mitici Jackpot Studios di Portland. Intimo, caldo e pregno di tutto ciò che i Go-Betweens erano stati nel corso della decade precedente e che tanto era mancato ai suoi fan, l’album del ritorno non è tuttavia apparso privo di qualche limite, primo fra tutti la mancanza dell’originaria batterista Lindy Morrison, sostituita, con dubbia efficacia, dalla collega degli Sleater Kinney, Janet Weiss, e poi anche l’aggiunta, tutto sommato superflua, di un tocco di sintetizzatori, con la partecipazione di Sam Coomes dei Quasi.
Il riscontro critico è stato comunque assai positivo (per non parlare di quello di coloro, e chi scrive era tra questi, che avevano atteso questo momento per ben dieci anni…) e a ruota è seguita la riedizione su cd di “Send me a lullaby”, “Before Hollywood” e “Spring Hill fair”, rimasterizzata e accompagnata da un secondo cd per ciascuno dei titoli, contenente outtakes risalenti alle sedute di registrazione dei rispettivi album.
Fortunatamente, “The friends of Rachel Worth” non ha costituito il frutto di una occasionale ricongiungimento di Robert Forster e Grant McLennan, e quest’anno i due hanno scritto il secondo capitolo della nuova vita del loro sodalizio artistico, intitolato “Bright yellow bright orange”.
In esso, rifuggendo una volta per tutte quelle tentazioni “indie” che avevano fatto qua e là capolino in “The friends of Rachel Worth”, riemergono i Go-Betweens migliori: essenziali negli arrangiamenti (moderatamente folk e pastorali, senza mai perdere di vista la classica pop-song uptempo, spigliata e disinvolta) e narrativi, quando non addirittura colloquiali, nei testi (con il grande talento di Foster e McLennan nel mettere in luce la bellezza delle cose che nella nostra quotidiana frenesia vengono percepite come piccole e trascurabili, la poesia dei dettagli che immancabilmente ci sfuggono perché, sempre apparentemente, di poco conto o la simpatica stranezza di storie ambientate in anonimi luoghi qualunque con protagonisti anonime persone qualunque, la suggestione, talvolta in senso positivo, talaltra in senso negativo, di fronte allo svolgersi dell’esistenza).
Così, la malinconia, presente in tante canzoni dei Go-Betweens che tanto ci hanno affascinato anni addietro, torna a risuonare e a far breccia nel nostro cuore fin dalle prime note di “Bright yellow bright orange”: la nostalgia (che in “Caroline and I” corre lungo il filo di un bizzarro parallelo con la vita della Principessa di Monaco) per quel che sono stati il passato e gli anni della gioventù, non senza un pizzico di struggimento per ciò che invece avrebbero potuto essere, se solo si fosse saputo che cos’altro farne; la memoria di persone conosciute e perse di vista, il cui unico ricordo è una fotografia attaccata alla pagina di un diario con del nostro adesivo (“In her diary”); rimpianti un amore finito (“Unfinished business”). E non manca, con “Mrs. Morgan”, la poc’anzi menzionata vena narrativa, con il curioso racconto delle vicende di una piccola comunità in subbuglio a causa di una chiromante e delle sue rivelazioni.
Difficile dire dove “Bright yellow bright orange” possa andare a collocarsi in un’ipotetica graduatoria che si potesse stilare degli album dei Go-Betweens e qualsiasi discussione al riguardo sarebbe davvero sterile. Perché, in fondo, se già avete tutti gli altri loro album, correrete senz’altro ad acquistare anche questo; se, invece, questo è il vostro primo assaggio della musica dei Nostri, finirete sicuramente entro breve col mettervi alla ricerca di tutto ciò che è venuto prima.

Voto: 9

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Autore: acrestani71@yahoo.com