John Butcher ‘Invisible Ear’

(Fringes/2003)

“Invisible Ear” è opera che se non correttamente maneggiata
(?) può dar vita a notevoli incazzature ed anche forse ad atti di violenza
sulla propria ragazza che vi sbeffeggerà per la presunta inculata che
avete appena preso (la stupidina).
John Butcher opera in solitaria allargando talvolta le maglie del suono a dismisura,
poi in altri frangenti trasporta l’ascoltatore in luoghi sinistri dove il peso
specifico della massa sonora è prossimo a quello del piombo e poi, in
altri momenti ancora, è proprio simile al nulla (se si è sordi).
Ma bisogna andarci cauti poichè la distanza fra sublime e ridicolo è
spesso delimitata da un’impercettibile diaframma che il nostro dimostra di saper
valicare a suo piacimento; del suo sax e delle sue molteplici parti Butcher
usa tutto e quando non basta stratifica le proprie azioni creando ambienti lisergici
di notevole spessore.
L’iniziale Swan Stylesembra propendere per il ridicolo ma solo se si
ascolta da un’altra stanza mentre si è impegnati a cenare, in realtà
è perfetta introduzione con i suoi grotteschi suoni slabbrati che paiono
figli del Burroughsdi “Interzona”.
Quando arriva What Remains il cervello mi fuma abbastanza, poichè
la struttura mantrica ed avvolgente del brano mi ricorda sia il Cale pre-
Velvet sia lo spirito intraprendente di certe situazioni tipo Cabaret
Voltaire
ma vi è dell’altro, Braxton forse, oppure gli amorevoli
lasciti di Keith Rowe; ma sostanzialmente si ammira lo sforzo dell’autore
di sentire in maniera totalmente altra.
Streamers è poi frammento che ricongiunge idealmente il lavoro di
Butcher all’opera svolta da Partch. Ma bisogna voler intendere quello
che accade, bisogna aver la volontà di dedicare a queste musiche la stessa
attenzione e lo stesso ascolto profondo che si è dedicato a situazioni
come una Deep Listening Band o ai Tuu. Perchè questo è
un’universo che ha bisogno di cure amorevoli in quanto guarda molto più
lontano del proprio naso ed azzarda soluzioni che farebbero tremare le gambe
a molti. Questa è la nuova Ambient o più esattamente quella
che ci piace sentire, tesa e nervosa con una continua ricerca a 360 gradi che
dalla sua possiede anche il grande vantaggio di un’anima che, spesso e volentieri,
è disposta ad aprirsi in un gran sorriso come ci dimostra il blues sfregiato
di Magnetic Bottle.
Questo disco è un soffio e l’aria è il principio della vita.

Voto: 8

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