Kevin Drumm Lasse Marhaug ‘Frozen by Blizzard Winds’

(Smalltown Supersound/Audioglobe 2002)

Viene da chiedersi, spesso, quanto fermento ci sia veramente dietro le migliaia di uscite definite avant, experimental, improvised. Quand’è che un’improvvisazione passa da semplice sampler sonoro (di proposte, esperimenti o qualsiasi altro modo abbiate di chiamare, nominare esposizioni frequenziali inedite o altro tipo di massa sonora) a struttura che porta con se informazioni ricombinate in modo che il nostro cervello (ma chiamatelo pure cuore se ciò vi aggrada) sia stuzzicato, solleticato dalla proposta.
Non so. E’ una definizione fuzzy. E’ la logica umana (analogica, continua, non discreta) che ci permette di fare questo. Ognuno ha le sue visioni, le sue immagini il suo costrutto interno. La musica è soggettiva. Il contesto non è trascurabile. Indubbiamente eccitante, stimolante. Viva la randomnes che si porta dietro il ragionamento.
In questa recensione del cd “Frozen by Blizzard Winds”, dove Kevin Drumm (proveniente dalla scena di Chicago e assimilabile a figure onnipresenti, Jim O’Rourke, defilate, Dan BurkIllusion of Safety, o under-attuali come Alan Licht e Ken Wandermark) è coadiuvato da Lasse Marhaug (parte della cosiddetta “norwegian noise scene”, collaborazioni con personaggi del calibro di Merzbow, Mats Gustafsson) non aspettatevi di trovare tratti oggettivi. Penso sia una prerogativa della musica improvvisata; anzi penso sia prerogativa della musica istantanea, cioè della musica la cui produzione non è mediata, o lo è minimamente, musica spontanea (recuperando una buona dose di elasticità mentale che forse è stata nostra nell’infanzia). Sembra di descrivere una chimera. Probabilmente è così, perché volenti o nolenti, si parte sempre da una base timbrica più (Kevin Drumm chitarra preparata, synth) o meno (Lasse Marhaug, laptop) riconoscibile e si cerca di arrivare chissà dove. Dov’è questo ‘dove’ alfine? Nella mia testa. Mia, come lo è questa recensione.
Per quanto non sappia quanto ciò sia trasmettibile, ho trovato il cd molto bello. Scricchiolii metallici, feedback modulati si sovrappongono e trapassano tweak sintetici e sampler organico granulari. Nessun suono evolve. E’ l’esecuzione che evolve. Quindi musica individualista e non spersonalizzata (niente macchinari padroni). Il tutto non è però esente da una sensazione di deja vu timbrico che a rifletterci troppo infastidisce. Qualcuno dovrebbe rendersi conto che usare gli stessi campioni-materiali sonori è il corrispettivo dell’ imbracciare una chitarra elettrica e gridare “yeeahh!” (l’auto-coscienza anche in questo caso è fondamentale). Ma forse questi sono pensieri per il dopo ascolto. Pensieri troppo critici che sviliscono la fruizione immediata (ora, qui!). Questo cd è la colonna sonora ideale per macchine che bruciano, vernice che si stacca piegata dal fuoco, strutture che scricchiolanti cedono senza arrivare mai al collasso. Un cd bellissimo e trascurabile. 8 alla resa sonora 4 alla comunicativa.
Rileggendo penso di aver descritto qualcosa di alquanto desiderabile.
L’ultima parola è vostra, comunque. In ogni caso.
Rendetevene conto.
Chi ha detto che la musica non è rischio?

Voto: 6

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