Richard Buckner ‘Impasse’


(Overcoat 2002)

Ritorna l’immaginario letterario tutto improntato verso l’adattamento corale di Richard Buckner , cantore e poeta del nostro tempo, che in pochi lavori, è riuscito a riproporre tutta una via alternativa al neo-folk, imprimendogli prima un certo intimismo desolante e poi una rasserenata voglia di riposizionamento della propria vena cantautorale con The Hill, capolavoro tuttora insuperato. A che punto è l’arte di Buckner attualmente? Molto regredita, si direbbe. Laddove il concept “The Hill” si presentava come un dado cinese, un’opera nell’opera, degna di profondissime riflessioni letterari cariche di simbolismo e disperazione, vicine al racconto disincantato del John Cheever di Bullet Park, questo nuovo disco punta tutto alla canzone d’amore, senza quel distacco che permetteva d’inquadrare i personaggi come appartenenti alla condizione umana. Laddove “The Hill” parlava della condizione umana come vista da una lente d’ingrandimento che però era tutta diluita nel ribaltamento del microcosmo che si presentava come condizione dell’uomo sulla terra, questo nuovo lavoro riesce malamente a superare se stesso, presentandoci la versione di un uomo e non quella dell’intera collettività. Il vero problema del disco è che però rivolgendosi alla singolarità non solo non diventa più intimo, ma perde stranamente proprio quel lirismo che Buckner aveva guadagnato guardando alla collettività, alla comunità di Spoon River di Edgar Lee Masters’. Dal punto di vista musicale, il disco è parecchio curato, più pieno dei precedenti, ma questa pienezza non corrisponde affatto ad un miglioramento, quanto ad un appiattimento dei momenti migliori.

Voto: 6

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Autore: alphastorm@virgilio.it