William Parker ‘Raining On The Moon’


(Thirsty Ear 2002)

William Parker andando avanti nel tempo (ri)trova gratitudine nel proiettarsi nel jazz di stampo classico, non arcaico, ma ben ancorato ad un secolo di black music. Dopo gli elogi ricevuti dalla critica (anche quella che fin ora aveva storto il naso) per il calore mostrato nell’architettare “O’Neals Porch”, Parker continua a rovistare in vecchi bauli stracarichi di acceso swing. I compagni, il batterista Hamid Drake (con Parker energica coppia ritmica), Rob Brouwn al sax e flauto e Lewis Barnes alla batteria, vengono messi da parte dalla voce lincolniana di Leena Conquest. In questa occasione percepiamo che sia lei ad indossare l’abito di protagonista. La vocalist proietta i tratti d’infelicità della Holiday, la grinta della Fitzgerald, l’orgoglio tramutato in arroganza delle black singers. Spingere play comporta ritrovare le arguzie di Dolphy in compagnia del blues di Mingus (Hunk Pappa Blues), decisione e fermezza nel canto (Song Of Home), malinconia da night hall depresso (Old Tears). I testi, anch’essi scritti dal contrabbassista sono politici, ma non risultano irruenti e contestatari, come i poemi di Amiri Baraka, preferiscono essere beffardi, come nella title track, dove da principio la storia è capovolta…i neri comandano, governano, perdonano. Sguardi a paesi lontani (Music Song), che insieme al ultima traccia, viene circondata dall’uso del Donso Ngoni (strumento tradizionale africano).
Stanco della trasgressione Parker con “Raining On the Moon” si posiziona tra le più interessanti conferme del jazz, e sottolineo jazz, del panorama odierno. Dunque non è poi tanto difficile ascoltare un disco non invadente diverso dalla solite proposte standard del Wynton Marsalis di turno.

Voto: 7

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