Bill Horist ‘Soylent Radio’

(Unit Circle/1997)

Bill Horist è un simpatico ragazzo di Seattle che si diverte a torturare le povere chitarre che gli capitano sotto mano violandone l’integrità con diversi arnesi concepiti non proprio per emettere suoni e talvolta riprocessando il tutto tramite computer.
Chi ha avuto l’occasione di assistere alle sue esibizioni in compagnia di quel gruppo di scriteriati che sono gli Ovo saprà bene a cosa sta andando incontro, chi invece ha disertato quegli appuntamenti faccia ammenda acquistando questo disco che si rivela essere ottima introduzione alla complessa arte del nostro.
Arte che in questo “Soylent Radio” si avvale della collaborazione di altri e ben preparati guastatori che aggiungono simpatiche coloriture al tutto duettando con Bill ed assecondando la sua arte della scordatura tramite misurati e precisi interventi che contribuiscono non poco all’atmosfera cangiante che pervade l’intero lavoro.
Horist si rivela essere tanto figlio di certa provvisazione colta quanto perfetto esempio di musicista di stampo noise ed industrial senza peraltro rimaner intrappolato in nessuna delle categorie appena citate. Un’esempio calzante di tutto ciò si rivela esser The Teeth of our Skin brano sintomatico dove si assiste allo struggente duetto con Troy Swanson all’elettronica per una manciata di minuti che liquidi ed imprendibili cavalcano diverse soluzioni senza però mai abbracciarne nessuna con risultati stupefacenti, si potrebbe azzardare il termine psycho-ambient per la forza evocativa che rimanda tanto all’ Hendrixpiù ispirato quanto alle deraglianti eppur oniriche sonorità delle prime uscite dei Nurse With Wound.
Horist è musicista acuto, impressiona la coerenza con i quali vengono maneggiati materiali spesso apparentemente discordanti fra di loro; non vi è nel suo approccio nessuna ansia accademica. Anzi, si assiste ad un vero e proprio straripamento di vitalità e gioia che risulta contagiosa nella sua apparente semplicità, provate a questo proposito Clowder in compagnia della signorina Eveline Muller ed i suoi aggeggi metallici che vengono costantemente sollecitati come le corde della chitarra che a loro volta sono sfregate, martellate, accarezzate, trattate e portate quasi al punto di rottura tanto suonano acute ma non vi è nulla di estremo poichè sembra di assistere ad un’improbabile incontro-scontro fra Quicksilver e Seth Nehil, pura vibrazione reiterata che si perde nell’infinito; capolavoro.
Disco caldamente consigliato, avanguardia dolcemente metallica e visionaria; John Fahey e Burroughs dall’alto sorridono benevoli.

Voto: 8

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