Big Heavy Stuff ‘Size of the ocean’

Nati nel 1990 dalle ceneri dell’ensemble pop/psichedelica Ups and Downs, i Big Heavy Stuff hanno, nel corso degli anni e attraverso numerosi cambi di formazione, sviluppato un interessante sound che intreccia classiche sonorità pop a cavallo tra anni Sessanta e Settanta e trame più ruvide e rumorose, prossime ai suoni che hanno caratterizzato la scena inglese tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, andando ad inserirsi di buon diritto nella scena power pop australiana, da anni in continua espansione, anche se qui da noi per la più gran parte sconosciuta. (Qualche nome per chi volesse approfondire: You am I, The Underground Lovers, Glide, Summer Suns, Welcome Mat, Drop City, Knievel – ma ce ne sono tanti, tanti altri). Un percorso che ha trovato realizzazione in una discografia di tutto rispetto, da un punto di vista tanto quantitativo quanto qualitativo.
Il gruppo esordisce sulla media distanza nel 1991 con l’e.p. “Pops like crazy” e, come suggerisce il titolo, in questa prima prova prevale la componente melodica e più retrò, assai vicina agli Ups and Downs di cui sopra. Lungo le stesse coordinata sonore si collocano i due singoli successivi, “Chaos” (1992) e “North by night” (1993), con quest’ultimo che fa da preludio alla pubblicazione nello stesso anno, del primo e, ahimè, introvabile, primo album “Truck”.
Ben presto, tuttavia, comincia ad emergere quella matrice rumorosa e stridente che ha contribuito in modo determinante a forgiare quel suono che ha fino ad oggi contraddistinto i Big Heavy Stuff. In questa direzione si muovono infatti i successivi e.p. (“Trouble and desire” del 1994, “Covered in bruises” del 1995, “Big mouth” del 1996 e “May” del 1997) e la seconda prova sulla lunga distanza, “Maximum sincere” (1997).
Nello stesso arco di tempo, il gruppo si è anche affermato quale eccellente live act, aprendo per bands quali Dinosaur Jr., Pavement, Stone Roses e Radiohead.
Dopo un silenzio i due anni, i Big Heavy Stuff si sono rifatti vivi nel 1999 con l’e.p. “Devil’s tongue” e l’anno successivo con l’e.p. “Two sisters”, ai quali ha fatto seguito, a distanza di tempo, il terzo album “Size of the ocean”, che prosegue, senza soluzione di continuità, il percorso inziato con “Pops like crazy”.
Impeccabili, curate come sono fin nei minimi particolari senza mai sconfinare nel manierismo, le dodici canzoni dalle quali è costituito l’album sono disposte seconda una sorta di schema ciclico e, se una differenza rispetto alle precedenti uscite può essere individuata, questa sta nel carattere assai più tranquillo e riflessivo della maggior parte delle composizioni qui contenute. All’iniziale “Hybernate”, fragile e sconsolata ballata acustica, seguono un paio di brani pop/rock “a lenta combustione” (“Devil’s tongue” e “Laughing boy”) che, alternandosi ad altre docili creazioni squisitamente pop (“Redhead” e “Two sisters”), preludono alla parentesi che i Big Heavy Stuff dedicano al loro lato più rovente (“Hank” e “Forever sighs the ocean”) e rumoroso (“Freaks in the circus”). Seguono ”You send me”, altro pezzo che si svela lentamente acquistando progressivamente vigore e intensità emotiva, e ”Bye the blue sky”, che con la sua semplicità chiude, come si diceva, in modo ciclico quello che è un disco ben al di sopra della media nel suo genere, opera di una band da tenere d’occhio nell’ambito di un panorama musicale, quello della musica pop australiana, che purtroppo continua trovare troppo poco spazio e troppo poca attenzione dalle nostre parti.

Voto: 7

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Autore: acrestani@telemar.it