Quattro chiacchiere digitali con gli Stearica
Di Marco Paolucci
8/11/2009: Gli Stearica sono una formazione di Torino attiva da una decina di anni che ha pubblicato un album felice coagulo di rock/impro/jazz/musica sperimentale, ‘Oltre’, ed è comparsa nella compilation ‘Wire tapper 22’ della prestigiosa rivista di musica inglese Wire. Per conoscere meglio la loro storia e il loro mondo abbiamo scambiato quattro chiacchiere digitali con il polistrumentista Francesco Carlucci.
1) Parlateci degli esordi, di come è nata l’idea di formare un gruppo ed iniziare a suonare.
Iniziamo a suonare insieme nel ’97, siamo tre studenti squattrinati, niente di nuovo. La novità stava forse nella direzione che prendeva la nostra musica, session dopo session, si allontanava da tutto quel che ci circondava nella Torino di quegli anni in cui l’hardcore era ancora un genere forte, soprattutto nei posti che frequentavamo. Suonare è sempre stata un’urgenza, i nostri coetanei passavano i finesettimana a limonare in discoteca o a sciare sulle cime alpine mentre noi ci rinchiudevamo nelle cantine e ci piaceva, sentivamo di fare qualcosa che ci faceva venire la pelle d’oca…forse anche perché suonavamo piuttosto male!
2) Quali sono state le vostre influenze?
Siamo tre persone profondamente diverse e di conseguenza lo sono sempre stati i nostri ascolti. Stearica rappresenta il modo di comunicare tra noi tre, abbiamo imparato a suonare insieme ma abbiamo mantenuto le rispettive identità. La musica l’ascoltiamo davvero tutta e da ogniddove, agli esordi credo che però fossimo molto più vicini ad ascolti violenti tra acid rock e metal ma si iniziassero già ad intravedere le prime derive verso musica sperimentale, jazz ed elettronica.
3) Che cosa vi ha spinto ad andare avanti per tutti questi anni?
I soldi, altrimenti non hai motivo di dormire (poco) nelle situazioni più scomode, mangiare uova e pancetta in giro per le tristi lande inglesi o ancora stare in un furgone per diciotto ore. Tu lo faresti per il solo gusto di suonare negli Stearica? Poco conta che ogni volta che imbracciamo gli strumenti, qualcosa di nuovo e stimolante succede e ancora non ci interessa un granchè del fatto che ci innamoriamo della nostra musica. Guadagnamo un sacco di quattrini e le donne si strappano i capelli per noi, questo ci basta. Te l’ho fatta?
4) Come siete arrivati alla pubblicazione di ‘Oltre’?
’OLTRE’ è il primo lavoro pubblicato dal gruppo ma probabilmente poteva essere almeno il terzo. E’ nella nostra natura arrivare ad un punto per poi sentire la necessità di fuggirlo ed esplorarne di nuovi. Questo disco è nato da sessions di improvvisazione pura, registrate in circa otto mesi. C’era materiale per fare un sacco di album destrutturati. Noi abbiamo scelto dei temi, delle figure ritmiche o comunque dei passaggi che ci emozionavano particolarmente e poi abbiamo deciso di divertirci nell’arrangiare questo materiale utilizzando lo studio stesso come uno strumento di composizione.
5) Come è nata la collaborazione con l’etichetta Homeopathic?
Homeopathic è un collettivo di musicisti e artisti da tutto il mondo più che una etichetta nel senso classico del termine. E’ un nuovo modo di produrre musica in un momento delicato come quello che noi tutti stiamo vivendo. Noi siamo stati tra i fondatori e col tempo diversi altri musicisti anche piuttosto illustri, stanno aderendo al progetto e ci stanno credendo. L’idea è di curare la musica con la musica stessa, a patto che sia bella e onesta. Noi pensiamo che valga la pena di seguire Homeopathic perché ci sono delle grandi sorprese all’orizzonte.
6) Come sono nate le collaborazioni con gli artisti presenti nell’album, come i Dalek e Amy Denio?
Amy, Dälek e tutti gli altri ospiti presenti su ‘Oltre’, sono amici conosciuti nel corso dei tour europei che abbiamo suonato in questi anni. Al fianco dell’amicizia è nata anche una stima reciproca che ci ha portato in maniera naturale a collaborare sull’album ed il risultato è stato strepitoso secondo noi.
7) Come vedete la scena musicale italiana, e quella internazionale sia a livello di artisti e di locali per suonare?
Forse in Italia vediamo poco una scena. Purtroppo non ci pare che ci sia una reale volontà nel fare rete e collaborare per far circolare musica nostrana, perlomeno è volontà di pochi. Personalmente sono sempre stato un attivista ed oltre ad aver suonato, negli anni ho organizzato molti concerti ma in generale ho notato che proprio i musicisti sono quelli che partecipano meno, ad esempio snobbando spesso i concerti dei rispettivi colleghi. In Europa abbiamo visto che la situazione cambia, specie in Inghilterra o in Francia, infatti non è un caso se le nostre collaborazioni vengono spesso da altri paesi o addirittura altri continenti.
8) Come vedete la scelta di Wire di inserire un vostro pezzo nella compilation Wire Tapper 22?
E’ stato un momento fantastico di cui siamo felicissimi specie per la maniera in cui è arrivato, cioè come una splendida sorpresa senza aspettative. Quest’anno abbiamo avuto diversi riconoscimenti dalla stampa, in particolare dopo il tour europeo con gli Acid Mothers Temple che ci ha aiutato ad esser scoperti ed apprezzati da diverse realtà che stimiamo da anni. Essere su The Wire Tapper significa entrare nella storia delle compilation redatte da un giornale fondamentale per la promozione e la critica della musica contemporanea. Se a questo aggiungi il fatto che la distribuzione è rivolta verso tutto il mondo, apprezzi ancora di più il coraggio di una realtà che pur essendo tanto in vista, supporta anche progetti poco patinati come gli Stearica e penso che questo sia un approccio che dovrebbero seguire tutti coloro che scrivono e vogliono informare circa le nuove musiche nel mondo.
9) Progetti futuri?
Tanti! Attualmente stiamo mixando il prossimo disco che abbiamo registrato a 14 mani (!) con gli Acid Mothers Temple, un lavoro pazzo e spero sorprendente che dovrebbe uscire nella primavera del 2010. Poi stiamo cominciando ad esplorare i rapporti tra la nostra musica ed il cinema, dopo aver cominciato lo scorso anno a battere nuovi territori, quando il Traffic Festival di Torino ci commissionò la sonorizzazione del Cortile del Rettorato o ancora quest’anno quando il brano E ogni cosa scompare è stato scelto come colonna sonora per un documentario della Facoltà di Architettura di Milano. Siamo appena all’inizio di questa nuova avventura, c’è ancora poco da dire e molto da fare e speriamo sia appena il principio.