Buzz Aldrin ‘Buzz Aldrin’

(Unhip / Ghost 2010)

Inizia a fine 2008 l’avventura dei Buzz Aldrin. Tre ragazzi bolognesi non più tanto ragazzi, una cassetta ultra limited edition edita per Secret Furry Hole, concerti incendiari che attirano via via sempre più curiosi e addetti ai lavori, un hype che monta e monta fino a rendere quest’uscita, coprodotta da Unhip e Ghost, una delle più attese dell’anno.
Molta la wave e molti i numi tutelari: un pò di nero cenere alla Killing Joke e un pizzico di malattia Public Image; affiliazioni a sabba di stampo Liars e la predisposizione al viaggio dei texani Black Angels. Tanti nomi, ma non è il solito gioco, chi cuoce la carne sono i Buzz Aldrin e nessun’altro.
L’esordio affidato ad Eclipse è come entrare in un buco nero: substrati synthetici di vibrazioni allucinogene, drumming incalzante, voce sciamanica. Un equilibrio precario tra estasi e distruzione, tra impatto primitivo e trip lisergici. Che lo spazio ossessioni la band non lo si deduce soltanto dal nome: le marcette di Machine 2999,99 e soprattutto Let’s walk the children around the space sono surreali e oscure. Inquietudini che latitano in sottofondo come magma, ed emergono in eruzioni estemporanee; una cavalcata verso i confini dell’universo che non ha fretta, invade la mente ma non dimentica lo stomaco. Riti dionisiaci e alienazione, il lato nero raggiunge lo zenit con Hola Gringo5, incedere funereo e rumori sinistri dall’oltretomba, e con l’incubo visionario di Enter, deriva di frattaglie soniche, più inquietante di un film di Lynch con i suoi coretti femminili spettrali, l’eco dei primissimi Cocteau Twins.
E in questo tour di galassie interiori tre sono le tappe fondamentali. Giant rabbits are looking at the sun, già presente nella cassetta d’esordio, e White church: si vibra all’ascolto. Una tensione che si alimenta nelle pulsazioni basse e costanti che permeano i due brani, nella voce tesa allo spasmo, nelle chitarre affilate come machete. Melodie perfette nella loro acidità, un delirio sonico di feedback che saturano spazi fisici e mentali. E il finale col botto affidato a No time / No age (White eyes), ennesima immersione nel furore psichedelico che monta e che danza come un serpente a sonagli, senza sosta ma sotto scientifico controllo.
C’è cognizione di causa, si conosce la materia e si conosce il risultato da ottenere, sembra quasi che i Buzz Aldrin non suonino i loro strumenti, ma suonino direttamente te. Rivelazione.

Voto: 8

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Autore: alealeale82@yahoo.it