Mice Parade ‘What it means to be left handed’

(Fat Cat / Audioglobe 2010)

Ottavo tiro al bersaglio di Adam Pierce e soci, centro pieno.
“What it means to be left handed” si rivela come uno degli album più riusciti della band newyorkese nonchè una delle uscite più interessanti dell’anno prossimo al traguardo: districandosi tra strutture pop, accenni di canzoni e atmosfere aperte di matrice post-rock (non a caso troviamo Doug Scharin alla batteria), Pierce sprigiona tutta la sua energia creativa miscelando flamenco e ritmi latini all’indie rock classico degli ’80, ethno-jazz e una miriade di strumenti (ancora lo zampino di Scharin?) all’alt-country più tradizionale ed essenziale, usando i giusti dosaggi senza azzardare. C’è saggezza, non si vuole strafare, si vuole coinvolgere l’ascoltatore in un gioco di rimandi tra sogni malinconici e vitalità vivace, coi toni delle composizioni qui sfumati e freddi, lì saturi di colore.
Un disco che trasuda America nel rievocare sentori di Folk Implosion (Couches & Carpets e lo splendido gioiello in miniatura che è Even, distillato di perfezione indie-pop), Lemonheads (l’ottima cover di Mallo Cup, chitarre al galoppo), Neutral Milk Hotel (Fortune of Folly) o, senza tornare troppo indietro, Sufjan Stevens (l’accoppiata corale di Recover e Hold hat). Ma la geografia dice anche Brasile (Kupanda e l’intro della già citata Fortune of Folly), Africa (In beetwen times), Islanda (echi di Mum dalle atmosfere elettroniche di Tokyo late night, Pond e Remember the magic carpet, alle melodie intimiste evocate dalle voci di Lufkin e Godreau): pangeografia in suono la cui gestione potrebbe risultare difficile sulla carta, ma che i Mice Parade portano a compimento senza che tu nemmeno ti accorga della difficoltà. Discreti appunto come una parata di topini laboriosi.
Delizia per le orecchie.

Voto: 8

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Autore: alealeale82@yahoo.it