Neverdream ‘Said’


(Twilight Zone Records / Andromeda Distribuzioni 2010)

Copertina dell’album alla mano, e relativa track list, il nuovo album dei romani Neverdream avrebbe dovuto naturalmente richiamare sonorità del continente nero, invece, l’Africa compare solo nelle tematiche affrontate, mentre i rimandi musicali afro sono minimi, all’inizio e alla fine di brani quali Black Mirror o Voodoo.
Come ben sappiamo, non è certamente la prima volta che i Neverdream si occupano di tematiche sociali di particolare rilievo, si pensi al precedente lavoro, da me recensito, ‘Souls’ o a ‘Chemical Fate’, una vera e propria denuncia stile Steven Wilson alla tossicodipendenza giovanile. Con ‘Said’, invece, ripercorriamo a grandi tappe la storia del continente culla dell’umanità, partendo dalla comparsa lungo le coste del colonialismo commerciale (God’s Mistake) passando per l’impietosa tratta dei neri (Amistad) e finendo con l’indipendenza dall’occidente ottenuta, manco a dirlo, dopo una buona dose di guerre civili (The Long Walk to Freedom).
Venendo all’aspetto più tecnico, quello che plaude alle nostre orecchie, la band romana ci presenta diversi e continui cambi di ritmo, anche se in certi frangenti appaiono un po’ fuori luogo o comunque messi a caso, soprattutto per il contesto musicale in cui si pongono, ma assicurando sempre una certa dinamicità strumentale e un ascolto a tratti coinvolgente. Ironia della sorte, sono spesso i canti tribali ad apparire fuori contesto, ma come anticipato all’inizio si paleseranno assai poco.
Il procedere del disco è ansioso (Black Mirror), in alcuni frangenti le sonorità tradiscono un impetuoso nervosismo (Secrets) fatta eccezione, in questo caso, per il sottofondo tastieristico; raramente la band cede alla più facile, invitante, e fin troppo abusata melanconia (God’s Mistake) e personalmente lo apprezzo. Proprio Black Mirror si è rivelata l’esperienza migliore dell’album: dalla confusione iniziale alla redenzione centrale per poi culminare nell’armonia conclusiva, un percorso emozionale di quasi 9′. Sonorità meno complesse invece in Amistad, il brano che forse più facilmente si presta ad un primo ascolto: ritornello orecchiabile, batteria sostanzialmente tranquilla dopo un inizio rabbioso e qualche reprise, e il vocalist che cerca di dare il meglio di sé trasformandosi per un attimo in soprano.
Ma è solo la quiete prima della tempesta, annunciando The Long Walk to Freedom, maratona di 15′, vero e proprio testamento ideologico del gruppo: un coacervo di cambi di ritmo, tastiere, batteria cadenzata al limite, riff di chitarra più che mai distorta e ira repressa; momenti cantati di introspettivo silenzio, per arrivare ad un più che mai promettente “the moment of the answers will come” a chiusa del brano.
Pregi e difetti, ma per fortuna i primi hanno la meglio sui secondi: dal punto di vista delle tematiche, e del come vengono affrontate, parliamoci chiaro, sembrerebbe quasi un tema liceale, ma d’altra parte apprezzo particolarmente i tratti salienti dell’album già ampiamente descritti; questi sì, riportati con una certa maturità.
Bisogna certo dire, che i Neverdream non hanno fatto molti passi in avanti da Souls’, anzi, a volte sembrano un po’ chiusi e compressi ‘nelle loro idee musicali e concettuali. In ogni caso, siamo dinanzi ad un lavoro più che sufficiente, quasi discreto.

Voto: 7

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