Valerio Mieli ‘Dieci inverni’

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Marco Loprete

marcoloprete@libero.it

Capita spesso, ahinoi, che il cinema italiano si richiuda in una gabbia espressiva assolutamente autoreferenziale e, con la scusa di “raccontare il Paese”, scada in un provincialismo magari non volgare, ma assolutamente tedioso. Per fortuna le eccezioni non mancano e “Dieci inverni”, opera prima di Valerio Mieli, è sicuramente tra queste.

Il regista, classe 1978, romano, una laurea in Filosofia della scienza ed un diploma al Centro sperimentale di cinematografia, ha tratto il film dal suo omonimo romanzo, pubblicato per la Rizzoli nel 2009. La storia è in fondo semplice. Silvestro e Camilla si incontrano per la prima volta su un vaporetto che attraversa la laguna di Venezia. E’ l’inverno del ’99. Da quel momento in poi, per dieci anni, vivono un rapporto complicato, fatto di amicizia, tenerezze, gelosie e rabbia, che sfocerà alla fine in una storia d’amore.

Il film, presentato a Venezia 66 nella sezione Controcampo italiano e co-prodotto da RAI Cinema con CSC Production e United Film Company, ha molte frecce al suo arco. Innanzitutto, una sceneggiatura ben strutturata e ben scritta, che ha il pregio – tra gli altri – di tratteggiare due personaggi (i protagonisti, mirabilmente interpretati da Michele Riondino ed Isabella Ragonese) assolutamente credibili e lontani anni luce dagli stereotipi sui giovani d’oggi. Affascinanti anche le location: una fredda e grigia Venezia, con i suoi vicoletti e le case cadenti, ed una Mosca ugualmente uggiosa. La regia di Mieli è impeccabile e si adatta perfettamente al tono minimal-esistenzialista della storia.

Per questi (ed altri) motivi “Dieci inverni” è un piccolo gioiello, un film sì italiano ma dal respiro europeo (il tono delicato del racconto fa pensare a certe pellicole francesi), che evita cliché giovanilistici o provincialismi pedanti e ci regala 99 minuti di assoluto incanto.