The Decemberists ‘The Hazards Of Love’


(Capitol 2009)

Sin dal suo esordio, avvenuto nel 2002 con l’album “Castaways and Cutouts”, Colin Meloy, leader incontrastato dei The Decemberists, formazione di Portland, Oregon, ha palesato la sua passione per il folk britannico degli anni ’60 (quello, tanto per intenderci, di band quali Fairport Convention e Pentangle o di artiste come Anne Briggs, che esordì nel ’64 proprio con un LP intitolato “The Hazards Of Love”), coniugandolo con una moderna sensibilità indie. Dalla sua raffinata ed ultra-letterata penna sono venuti fuori lavori quali “Her Majesty” (2003), “Picaresque” (2005) e soprattutto “The Crane Wife” (2006), autentico capolavoro indie folk-rock. Per questo un album come “The Hazards Of Love” è per certi versi sorprendente. Perché, sebbene nella passata produzione di Meloy non manchino brani dalla struttura più articolata (pensiamo, ad esempio, agli 11 minuti di The Crane Wife 1 & 2), stavolta il songwriter americano ha deciso di fare le cose in grande, confezionando un disco che è in realtà una lunga, magniloquente suite di diciassette brani, in cui il folk psichedelico convive con passaggi hard rock che ammiccano a Led Zeppelin e Deep Purple. Una rock opera nel senso classico del termine, insomma, con i testi che raccontano, in chiave fiabesca, la tormentata storia d’amore tra Margaret e William (personaggio in grado di assumere forme diverse), ostacolati nei loro propositi dalla regina della foresta (The Queen) e da un folle omicida (The Rake). Nel dar corpo alle surreali avventure di questi personaggi, a Meloy, che interpreta William e The Rake, si affiancano Becky Stark dei Lavender Diamond nel ruolo di Margaret e Shara Worden dei My Brightest Diamond nella parte della regina. Da segnalare anche la presenza di Robyn Hitchcock alla chitarra elettrica.
La vicenda, come dicevamo, si dipana tra delicate ballad acustiche – The Hazards Of Love 1 (The Prettiest Whistles Won’t Wrestle The Thistles Undone), The Hazards Of Love 2 (Wager All), Isn’t It A Lovely Night (un valzer in cui spicca una fisarmonica), Annan Water (col ritornello in cui la voce poggia solo sul solo organo) e soprattutto la splendida The Hazards Of Love 4 (The Drowned) -, intermezzi strumentali che sovente fungono da collante tra una traccia e l’altra (The Queen’s Approach, per banjo ed archi, e soprattutto An Interlude, con una tenue e malinconica melodia intonata da una chitarra in arpeggio) e brani dalle strutture prog, in cui il folk convive con passaggi heavy decisamente vintage: la rocciosa A Bower Scene (poi ripresa in The Abduction Of Margaret), le superbe The Wanting Comes In Waves/Repaid e The Queen’s Rebuke/The Crossing, in cui compare un dialogo tra chitarra elettrica ed hammond che pensare ai Deep Purple, e Margaret In Captivity, che riprende la melodia Won’t Want For Love (Margaret In The Taiga) affidandola alla Stark.
Meloy stavolta lascia che il registro surreale/fiabesco della propria scrittura sfoci in un epica magniloquenza degna di certi “dinosauri” del rock. Ciò probabilmente lascerà perplessi i fan della prima ora. A nostro giudizio, tuttavia, “The Hazards Of Love” è un disco che trasuda creatività e talento da tutti i pori e, come tale merita, se non approvazione entusiastica, almeno rispetto e considerazione.

Voto: 8

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