Sincope ‘Sincope’


(Autoprodotto 2009)

I Sincope sono un trio basso-synth-batteria proveniente dall’underground pisano, nel quale operano da ormai circa 3 anni. Alla prima esperienza discografica, vengono fuori con questo disco di sole 6 tracce che però contengono oltre 50 minuti di musica a metà tra reminiscenze prog, elettronica psichedelica e un gusto comunque radicato nel rock. Si sente come un tensione tra velleità revivalistiche della storica tradizione italica in ambito progressivo e una volontà di superarla in dilatazioni elettroniche quasi ambient ma il risultato è un po’ confuso e dà vita tanto a sprazzi di indubbio valore quanto a lunghe cavalcate scialbe che forse si sarebbero potute evitare.

Apre il lavoro l’intro sincopata di Addio, la quale però si mostra più una giustapposizione tra brandelli electro-pop e divagazioni progressive. Segue , cupa e pesante, manierista se vogliamo nella prima parte, più sognante nella seconda, nella quale si distacca maggiormente dall’elettronica per abbracciare forme quasi post-rock. Eternit, il pezzo migliore del disco, si schiude su sonorità sintetiche accattivanti per poi debordare in un crescendo magmatico ribollente che lambisce territori free-jazz, con coda dark-eterea che richiama atmosfere da horror anni ’70. Giallo si sposta su un versante più smaccatamente pop in apertura per poi dilatarsi in infinite diserzioni spaziali che però ammosciano il buon inizio. Apnea è il brano più omogeneo del lotto, sempre ancorato a sonorità retrò-prog. Il sipario cala sull’album con Dove, interminabile suite progressiva al limite della tortura.

L’idea che mi sono fatto è che questi ragazzi a) non sono aggiornati sulle direzioni in cui si è mossa l’elettronica dopo la stagione progressiva degli anni ’70-’80, oppure b) sono dei sinceri amanti di quei suoni e ne vogliono offrire una personale attualizzazione. Comunque sia, il risultato è scialbo e noioso, pur non mancando qualche spunto di rilievo (Eternit su tutti). In generale, tutte le tracce sono troppo diluite, potrebbero comodamente durare la metà guadagnandone in forza senza perdere di incisività. C’è da lavorare insomma.

Voto: 5

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