Why Not Loser ‘Born To Be a Loser’


(Oxygenate Production/Jestrai Distribuzioni 2009)

A volte certi dilemmi sembrano più grandi di noi, quando in realtà risultano facilmente risolvibili. Per esempio, in questo caso mi sono lambiccato il cervello chiedendomi: cosa mai potrei scrivere nella recensione della band trevigiana Why Not Loser che non abbia già ripetuto “millemila” volte altrove?
La soluzione era a portata di mano, eureka! Non scriverò assolutamente nulla. Esattamente, fidatevi, non avete bisogno di conoscere vita morte e miracoli del gruppo in questione, né splendidi intricati dettagli sul loro primo album.
Vi basti sapere che ci troviamo di fronte all’ennesimo disco di punk-pop all’italica maniera, che in questo caso purtroppo è un modo carino per nascondere l’accento inglese penoso, i testi incomprensibili e l’originalità ridotta al minimo. Quindi perché mai mettersi ad ascoltare ‘Born To Be a Loser?’
Non saprei, la produzione è davvero egregia, direi che è il loro punto forte, probabilmente l’unico. Per il resto? Niente di niente, ripeto, se avete dodici anni e non avete mai sentito niente del genere immagino potrà anche interessarvi, ma chiunque abbia sentito anche mezza canzone dei Green Day (sì, pure quelle brutte), penso che sbadiglierà alla grande con il gruppo trevigiano.
In chiusura, mi preme sottolineare che i discorsi morali/etici non m’interessano minimamente. Siamo di fronte a un prodotto commerciale, su cui sono stati spesi dei soldi e che viene venduto. Trovo futile buttar giù filippiche sulla valenza del mainstream all’interno di una corrente come il punk, nata all’insegna dell'”anticommercialità”. Considerando che ha smesso di essere tale più o meno vent’anni orsono, è d’obbligo accettare la realtà per quello che è. Quindi, se i ragazzi dei Why Not Loser hanno esclusivamente intenzione di monetizzare sulle ragazzine/ini punk/emo/poser/fracazzo, posso caldamente consigliargli una plastica facciale e una bella frangia; magari così riusciranno a vincere il prossimo Vodafone Zero Limits.
Chi scrive, invece, può solo augurargli di trovare qualcosa di personale da proporre all’ascoltatore e di cui, magari, andare fiero da qui a trent’anni. Posto che gliene freghi qualcosa, chiaramente.

Voto: 5

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