Silvia Casilio e Marco Paolucci ‘Scatti in movimento’

 

Di Diego Giachetti

diegogiachetti@hotmail.com

Una difficoltà subito si presenta al normale e “vecchio” recensore novecentesco: com’è possibile raccontare con le parole e la scrittura un libro di più di trecento pagine fatto tutto di fotografie? Non è possibile, ovvero le parole mai comunicheranno e rappresenteranno la ricchezza e la bellezza del testo. Non resta che comprarlo, ne vale la pena, innanzi tutto per gli occhi e poi per le suggestioni che esso trasmette dovute alla potenza narrativa e storica che le foto, in questo caso, sanno imprimere alla ricostruzione storica. Se ben organizzate e “costruite” le immagini, parlano al cuore e alla mente, sanno trasmettere davvero il senso storico del tempo, sono documento e fonte in sé e per sé.

Qui le fotografie non sono usate, come troppo spesso accadeva e accade nei libri, come corollario (secondario) della narrazione, sono la narrazione stessa. Esse, per volontà dei curatori, raccontano la storia di una generazione che attraversa l’Italia dagli anni Sessanta, quella del beat e dei capelloni, fino al movimento del 1977. Una generazione ritratta nei corpi vivi e giovani dei protagonisti, nei raduni collettivi musicali, di divertimento, politici, nei manifesti e nei “prodotti” in genere che creò per rappresentarsi e costituirsi quale soggetto unitario dell’agire collettivo. Unitario nel senso completo del termine, dal Sud al Centro al Nord dell’Italia, una generazione “italiana”, indistinguibile, nei suoi comportamenti, passioni, modi di vestire e di esistere, di sperare, di lottare e di sfilare nelle strade, da varianti regionali o da presunte egemonie della città rispetto alla provincia.

Davvero le immagini ci consegnano una storia collettiva unitaria: dalla metropoli alla provincia, dall’Italia alle Marche, come recita il sottotitolo del libro, mettendo giustamente il rilievo il rapporto forte e fecondo tra la cosiddetta “periferia”, piccole città, province e il “centro”, i capoluoghi di regione, le metropoli. Nel fare questo i curatori partono dalla “periferia” perché essa è la cornice senza la quale il “centro” non esiste, è il confine estremo che raggiunge la diffusione di una cultura giovanile di protesta che la rende unica, sparpagliata capillarmente sul territorio nazionale. Non c’è alcuna differenza regionale o stilistica  – le fotografie, insisto, lo colgono bene, più di mille parole – tra un giovane beat degli anni sessanta o un contestatore che sfila in corteo, dopo il Sessantotto.

Nel suo rincorrere i fatti per ricostruirli questo volume ha tre grandi pregi. Libera il beat da un’attenzione “pettegola”, spesso “frivola”, dandogli una consistenza storica, uno spirito, un’anima fenomenologica. Non stravaganza, non costruzione di quattro mattacchioni di capelloni con chitarre elettriche, ma processo formativo e aggregativo di una generazione.

Si muove quindi dentro una periodizzazione storica “pensata lunga”, di ben due decenni, entro i quali opera un vasto movimento giovanile, protestatario e contro culturale. In esso è collocato  il “fatidico” evento del ’68, che viene ridimensionato e spogliato di quell’alone rievocativo, che ancora lo circonda nelle ricorrenze dei decennali. Qui il ’68 è evocato come passaggio, un venire da una storia che già c’era per andare verso una storia ancora da farsi. Crolla il mito costitutivo, iniziale, dell’ “anno uno”.

Spalanca infine le porte sui movimenti del decennio Settanta, sul loro modo di essere e di esistere, sulla loro produzione politica e culturale. Lo fa (e bene) in primo luogo spegnendo decisamente una luce di un riflettore che troppo spesso finora ha illuminato esageratamente solo una parte della scena storica, lasciando purtroppo in ombra tutto il resto. Per raccontare i movimenti degli anni Settanta infatti è necessario se non proprio spegnere, abbassare di molto l’intensità della luce che emana la rappresentazione di quegli anni come anni di piombo. Una rappresentazione che ha sovraccaricato la narrazione e la rappresentazione del fenomeno terrorismo rendendo oscuro e opaco tutto il resto, una vera e propria rimozione o sussunzione forzata e schiavizzata dei movimenti giovanili e della lotta politica di quel tempo nella sola categoria di lotta armata. Quel riflettore, ripeto, meritava di esse spento. I curatori lo hanno fatto e questo permette di vedere tantissime altre luci, ombre, sfumature, colori, consente di misurare quanto vasta fu la scena storica entro la quale i movimenti giocarono la loro parte.

 

Link: Scatti in movimento, a cura di Silvia Casilio e Marco Paolucci, Macerata, Edizioni Università di Macerata, 2009, pp. 354, euro 26.50.