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NOVEMBRE

Jiu Dan, Piccole donne drago

Singapore. Wang Yao, giovane e inesperta ragazza di Pechino, atterra nella Città del Leone per perfezionare il proprio inglese. Curiosa, famelica di vita, ambiziosa, scopre presto che la città è piena di ragazze come lei: ragazze che di giorno frequentano i corsi d’inglese, e la notte, per mantenersi, si mettono in vendita. Sono le piccole donne drago, disposte a tutto pur di fuggire la povertà che le aspetta in patria. Ed è qui, tra loro, che si mimetizza Wang Yao, protetta da un falso nome, Helen, e dalla consapevolezza di essere, forse, diversa dalle altre. Tra le piccole donne drago Helen scopre la lussuria ma anche l’amore, la profondità e crudeltà dell’eros, le spietate ambiguità dell’amicizia femminile, il tormento della schiavitù amorosa, la fatica di mantenersi in piedi da sola. Il racconto della sua vita si trasforma in un capolavoro di scrittura: lo stile è insieme preciso e poetico, cronaca di un flusso di coscienza dove sentire, vedere e conoscere si fondono insieme in immagini potenti. E dove l’espressione scaturisce da quella conoscenza assoluta della vita che appartiene soltanto ai veri scrittori.

Jiu Dan inizia la propria carriera come freelance nel Sud della Cina, poi di nuovo a Pechino lavora per un’agenzia di comunicazione e per l’Istituto di Cinema nel settore televisivo. Dal 1995 al 1997 è a Singapore per studiare l’inglese: l’esperienza la spinge a scrivere il romanzo semi-autobiografico Piccole donne drago (Wuya) che in Cina è esploso subito come caso letterario.
«

“Noi non siamo come voi, non siamo come nessuno di voi. Noi siamo marce. Noi ci nasciamo marce, siamo donne cattive di natura. Qualche volta anche noi vorremmo dire che siamo diventate così cattive e marce a causa di questa società, ma non ci riesce di dirlo, qualcosa ce lo impedisce, ci vergogniamo. Lo sappiamo che siamo cattive di nascita. Eppure queste donne, queste cattive hanno anche loro il desiderio che i fiori del mondo possano sbocciare per loro, ogni giorno, ogni notte noi lo desideriamo. Che sia anche un solo, unico fiore, un fiore rosso, giallo bianco, blu…
Ma la verità è che, a questo mondo, per noi non sboccerà mai.”

Traduzione di
Frine Beba Favaloro
Narrativa
pp. 432 ca.
euro 17,50

 

Già tradotto in inglese, francese e spagnolo, il romanzo che ha diviso l’opinione pubblica cinese.
«Un testo meraviglioso. Jiu Dan mette a nudo la propria anima».
DAI SIJIE
 

Claudine Monteil, Le sorelle Beauvoir

La storia di un’era, di Parigi e dei suoi intellettuali, degli effetti della Guerra Fredda, del movimento femminista in Francia e negli Stati Uniti.
Una bionda, l’altra bruna. Una pittrice, l’altra scrittrice. Una saggia, l’altra ribelle. Per quanto diverse, Hélène e Simone de Beauvoir sono unite da un amore che né il tempo né le divergenze estetiche e politiche riusciranno a intaccare. Mentre Simone ottiene l’insegnamento alla cattedra di filosofia e conosce Jean-Paul Sartre, Hélène allestisce la sua prima esposizione di pittura sotto lo sguardo di Picasso. All’esplodere della Seconda Guerra Mondiale, le due sorelle si separano. Hélène sposa a Lisbona uno degli allievi di Sartre, Lionel de Roulet, difensore attivo della Francia libera, e realizza una prima serie di dipinti sulla vita quotidiana in Portogallo. Rimasta in Francia durante l’Occupazione, Simone pubblica il suo primo romanzo, L’invitata. La Liberazione riunisce le due sorelle, travolte dal vortice della creazione e dalla Guerra Fredda. Simone e Hélène girano il mondo, s’incrociano, si ricongiungono, si separano ancora. Gelosie, amori delusioni, rivalità, fascino, conflitti politici popolano il loro universo e nutrono le loro confidenze. L’autrice racconta, nell’intimità, le gioie, i dolori e i lutti di queste due donne straordinarie, delle quali l’una lascia un’opera letteraria colossale e l’altra più di ottocento dipinti e incisioni.

Claudine Monteil, dopo avere conosciuto Jean-Paul Sartre, milita dal 1970 per i diritti delle donne e diventa amica di Simone de Beauvoir e di sua sorella Hélène. Storica e biografa, ha pubblicato Les Amants de la liberté (Éditions J’ai Lu, 2002) tradotto in più lingue.

Traduzione di
Tiziana Lo Porto
I Timoni
pp. 288 ca.
euro 22,00

«Hélène e Simone saltarono sul treno. Aspettavano quel momento da mesi, perché le vacanze estive nelle proprietà di famiglia portavano loro ciò che sognavano per tutto l’anno: la libertà! Si annunciavano giorni felici. Le sorelle sbarcavano correndo a La Grillère, dominio che consentiva loro di stare finalmente da sole. Il castello era provvisto di un’ampia biblioteca contenente le opere di Jules Verne, e un immenso camino. Nel parco, le bambine giocavano a cricket o si ubriacavano di passeggiate nei boschi. Gli adulti non si occupavano di loro. La madre spettegolava con i cugini e le cugine del vicinato. Sembrava dimenticare le preoccupazioni della vita parigina
e allentava il controllo. Simone e Hélène erano costrette soltanto ai pasti.
E Parigi era ben lontana!».

«Un testo fondamentale non solo per la storia letteraria di Sartre e della Beauvoir, ma anche, semplicemente, per la Storia».
«LIVRES HEBDO», Paris

Javier Marquez, Rat pack

C’è stato un tempo in cui il Presidente degli Stati Uniti d’America e la cricca dei cantanti più famosi e potenti del Paese andavano a cena insieme, e tra una bevuta e l’altra discutevano di donne, musica e affari. Erano gli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, l’epoca dell’America con la faccia pulita di John Fitzgerald Kennedy e di Frank Sinatra, ancora stordita dalla sensualità di Marilyn Monroe e dai fuoricampo di Joe Di Maggio. Il «Rat Pack» era proprio il gruppo di amici, quasi tutti uomini di spettacolo, che facevano capo a Sinatra: «Rat Pack», ovvero il «Branco
dei ratti», appellativo caustico e goliardico coniato dall’attrice Lauren Bacall con cui «The Voice» e i suoi erano conosciuti in tutti gli ambienti più in degli States. Il libro di Javier Márquez racconta con piglio ironico le parabole di questo manipolo di artisti sopra le righe, concentrandosi in particolare su Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Junior, che del «Rat Pack» erano
l’autentico fulcro. Ne emerge un mondo fatto di feste interminabili e concerti trionfali, tragedie consumate o appena sfiorate, intrighi coi mafiosi italo-americani che con Sinatra erano cresciuti e il mondo di celluloide in cui i «ragazzi» incarnavano alla perfezione il ruolo di protagonisti del «sogno americano».

 

Javier Màrquez Sanchez è giornalista e scrittore, e ha lavorato per diversi organi di stampa e radiofonici spagnoli. Al momento è vicedirettore della rivista «Cambio16». Ha partecipato alla stesura dell’enciclopedia musicale Canzoni d’Oro (2004), e ha pubblicato i libri Paul Simon & Art Garfunkel (2004), Bruce Springsteen. Lo spirito del rock (2005) e Neil Young. Il rocker indomito (2005).

«Dopo essere stato battezzato “The Voice”, e prima che, dieci anni dopo, cominciassero a indicarlo come il “vecchio dagli occhi azzurri”, Sinatra ebbe un altro appellativo, assegnatogli all’inizio dai ragazzi del Rat Pack e poi accettato da tutti. Era il “Presidente della Giunta”, il capoccia, il capo di tutta la combriccola. Non si considerava, in fin dei conti, il miglior amico del Presidente degli Stati Uniti? Nel suo ufficio aveva un nastro con la registrazione del discorso presidenziale in cui veniva menzionato, e non si stancava mai di farlo ascoltare a chi passasse a trovarlo. Ma i ragazzi lo chiamavano “Presidente della Giunta” non solo per il suo risaputo potere sulla gente, ma piuttosto perché Sinatra aveva davvero creato un impero economico attorno a sé».

Traduzione di
Luca Leotta e Valeria Cortellini
Le Grandi Navi
pp. 336 ca.
euro 19,50

«Il “branco di ratti” più glamour di ogni epoca».
«Un trio irripetibile che ha simboleggiato un’era mitica di edonismo e spettacolo».
«La cronaca di un’epoca, di uno stile di vita, dal fascino innegabile».

Jonathan Miller, Stripped. I Depeche Mode messi a nudo

Quattro ragazzini di provincia, tre tastiere e un microfono sono i semplici ingredienti dell’ultimo vero big bang nella storia della musica contemporanea. È iniziato tutto con un piccolo concerto alla Nicholas School, nell’estate del 1980, e da allora i Depeche Mode sono diventati «i Beatles delle produzioni indipendenti», ottenendo un enorme successo di pubblico e di critica. Ma la strada verso l’olimpo musicale non è stata in discesa: dall’abbandono del fondatore del gruppo Vince Clarke, alla dipendenza da eroina che ha quasi ucciso il frontman, Dave Gahan, la storia dei Depeche Mode è costellata di ascese e cadute, che questo libro racconta con passione e puntualità.
Stripped tiene fede alla canzone omonima dei Depeche Mode, riuscendo a mostrarceli «nudi fino all’osso». Oltre che una biografia della grande band, è una memorabile carrellata sulla scena musicale inglese, ed è soprattutto la storia di quattro ragazzi il cui successo ha sempre avuto a che fare con l’autenticità. Come ha detto Alan Wilder, ex-membro del gruppo: «Voglio dire, si parla tanto dell’anima, ma che cos’è l’anima? La gente ci accusa di non averla perché usiamo l’elettronica, ma avere un’anima significa essere onesti, e di onestà ce n’è parecchia nella musica che facciamo».

Jonathan Miller è giornalista freelance specializzato in musica hi-tech. Ha al proprio attivo centinaia di pezzi pubblicati su testate di settore di tutto il mondo. Questo è il suo primo libro.

Le Grandi Navi
pp. 628 ca.
euro 22

«Tempo dopo, quando a Gahan venne chiesto se ci fosse un’immagine particolare che racchiudesse tutta la sua storia con i Depeche Mode, non ebbe dubbi: “Per me, quell’immagine del Rose Bowl. Ad un certo punto, durante la canzone Never Let Me Down Again, saltai su uno dei montanti e vidi un paio di persone fra il pubblico che agitavano le braccia in aria, iniziai a farlo anch’io, e all’improvviso c’erano 70.000 persone che facevano la stessa cosa! Ero sopraffatto, sentivo qualcosa tipo lacrime dentro di me, e il sudore che mi scendeva sulla faccia, ma quella era gioia pura! Una sensazione tipo Non può andare meglio di così. È stato meraviglioso, il ragazzo di Basildon ce l’aveva fatta”».

«Fama, droga e un tocco di rock’n’roll. E sì, c’è anche del sesso…
Dal momento in cui ho aperto il libro non ho più potuto smettere di leggere».
«RELEASE MUSIC MAGAZINE»

Preziosa Salatino, Sade. L’ultimo dei libertini

Libertino, filosofo e scrittore, il Marchese de Sade è ormai oggi una figura leggendaria e mitica. Di lui si parla tanto, ma in pochi lo conoscono veramente. La fama della sua opera «maledetta» ha attraversato due secoli, ora rinnegata, ora sbandierata ai Quattro venti: il Romanticismo se ne vergognò, il Novecento lo riscoprì, ma la strada verso una sincera rivalutazione della filosofia di Sade è ancora lunga. Questo libro ripercorre il suo «mito», mettendo ordine nella sua vita e nei suoi scritti: l’infanzia a palazzo reale, la madre fredda e assente, l’adolescenza trascorsa nel collegio dei gesuiti, il matrimonio forzato, gli scandali e le persecuzioni, i lunghi anni di prigionia e solitudine, i fedeli servitori e gli amici traditori. E poi, le donne, le tante donne di Sade. Arricchito da preziosi documenti (uno fra tutti il suo testamento), un saggio che scopre la vera anima di uno dei pensatori più anticonformisti e irriverenti della Storia, restituendo limpidezza e spessore a una filosofia talmente lucida e moderna da anticipare la psicanalisi freudiana, la rivoluzione marxista, il superuomo nicciano e il movimento femminista.

 

Preziosa Salatino, raggiunta la maggiore età, abbandona la Calabria per trasferirsi a Roma. Dopo un anno di studio a Parigi sugli scritti sadiani, sbarca a Palermo, dove tuttora vive, per seguire il lavoro del puparo-cuntista Mimmo Cuticchio.

«Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino»

pp 240
euro 18.50

Fabrice d’Almeida, Il salotto del Fuhrer. La vita mondana sotto il Nazismo

La mondanità, da sempre specchio degli equilibri di potere, diventò con il Nazismo vera e propria strategia di conquista, di patti scellerati e inconfessabili tra vecchie e nuove élites.
Dall’ascesa di Hitler alla sua caduta, Fabrice d’Almeida dipinge l’affresco di un gruppo il cui cinismo e i cui piaceri (dalla caccia alle regate, dall’opera ai balli, dalle cene al tennis) non sono toccati da niente, né dalla guerra, né dal saccheggio a cui veniva sottoposta l’Europa, né dagli stermini. Ancora più che uno studio di genere o una cronaca, questo libro svela una società che aveva fatto del segreto la più efficace delle barriere. In questo teatro del potere non mancano le donne, persuase di aver guadagnato in dignità quello che avevano perso in diritti civili. Il Nazismo non nacque «dal basso»: Almeida ricostruisce l’inquietante parabola che portò la nobiltà e la borghesia industriale tedesche, dalla fine dell’Ottocento alla Seconda Guerra Mondiale, a fare da vero e proprio incubatore ideologico alla destra radicale. Archivi inediti, appunti privati, documenti diplomatici mostrano come la gente del bel mondo si lanciò in una gara di zelo verso Hitler, e dimostra che i poteri forti furono i veri complici della Guerra e dello sterminio.

Fabrice d’Almeida, Docente di Storia, dirige in Francia l’Istituto di Storia Contemporanea.

pp 448
euro 18.50