Percival Everett ‘La cura dell’acqua’

 

Di Marco Loprete

marcoloprete@libero.it

La “cura dell’acqua” (o waterboarding) è una forma di tortura che consiste nell’immobilizzare un individuo e versargli dell’acqua sulla faccia coperta preventivamente da un cappuccio o da uno straccio. In questo modo il soggetto avrà la sensazione imminente di star per annegare e, dunque, di morire. Questo tipo di pratica (già nota ai tempi della guerra del Vietnam) è ritornata in auge negli ultimi anni: “nel novembre del 2005, – si legge su www.wikipedia.it – fonti anonime dissero all’ABC News che la Central Intelligence Agency statunitense usava il waterboarding, ma non lo giudicava tortura [nonostante la legge americana definisca come tortura tutto ciò che produce ‘minaccia di morte imminente’]. […] La pratica ha raccolto nuova attenzione e notorietà nel settembre 2006 quando altri servizi sostennero che l’amministrazione Bush aveva autorizzato il suo uso negli interrogatori di detenuti della guerra al terrorismo statunitense. Il vicepresidente Dick Cheney disse a un intervistatore che lui non riteneva che «un tuffo in acqua» fosse una forma di tortura, ma piuttosto «uno strumento molto importante» per gli interrogatori […]”. In un’intervista all’ABC nell’aprile 2008, Bush ha ammesso esplicitamente di essere a conoscenza dell’utilizzo del waterboarding tra gli strumenti di conduzione degli interrogatori.

Questa premessa potrà sembrare stucchevole, ma è importante per capire l’umore che si respira nel nuovo, splendido romanzo di Percival Everett, intitolato per l’appunto “La cura dell’acqua”. Protagonista della vicenda è Ishmael Kidder, scrittore sotto pseudonimo di romanzetti rosa. Frustrato da un lavoro che disprezza e separato dalla moglie, Ishmael deve fare i conti con un grave evento luttuoso: la morte della figlia di appena undici anni, rapita, stuprata ed uccisa da un maniaco. In preda ad un dolore irredimibile, incapace di reagire alla perdita, il protagonista rapisce il maggiore indiziato del delitto e lo sottopone alla “cura dell’acqua”.

Classico esempio di pastiche postmoderno, “La cura dell’acqua” è caratterizzato da una struttura frammentaria in cui prosa, versi di poesie o filastrocche, storpiature linguistiche, riflessioni semiotiche, filosofiche, politiche e persino disegni convivono – anzi, si intersecano – fino a dar vita non solo alla cronistoria agghiacciante di un dolore personale lacerante, ma anche ad un duro atto d’accusa nei confronti della politica estera americana. In alcune pagine del libro, Everett si lancia in una serie di violente invettive contro il Presidente Bush (ma senza nominarlo mai esplicitamente) e l’establishment politico del Paese: in quest’ottica, le torture comminate al pedofilo assassino da parte di Ishmael sono una sorta di rappresentazione metaforica della violenza che gli USA infliggono al resto del mondo, con la tanto nobile quanto falsa scusa di esportare la democrazia e la pace.

Un romanzo potente, visionario, angosciante, una sorta di lucidissimo incubo ad occhi aperti, che getta una luce sinistra sul male che alberga nel cuore degli uomini e sugli orrori dell’occidente civilizzato.

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