Cecil Taylor Live

 

 

 

Con Anthony Braxton, William Parker, Tony Oxley 10-13 Ottobre 2007 @ Angelica Festival.

Introduzione Di Paolo Rossi

ruller@tiscali.it

Cecil Taylor?
A distanza di un anno dall’esibizione nel capoluogo emiliano di Ornette Coleman, Angelica è riuscita (nell’ambito della rassegna Concerti Contemporanei) a far approdare sul suolo italico un altro dei personaggi chiave nell’evoluzione della musica afroamericana, il pianista Cecil Taylor.Cinque gli appuntamenti che hanno visto protagonista il musicista newyorchese, svoltisi tra Bologna, Modena e Reggio Emilia: una conferenza stampa al foyer Rossini del Teatro Comunale di Bologna, la proiezione (sempre a Bologna, questa volta al cinema Lumière) di un estratto dal documentario di Ron Mann “Imagine the Sound” e tre concerti, che dal giovedì al sabato hanno tenuto occupata rispettivamente l’attenzione del pubblico modenese, bolognese e reggiano. Una personalità poliedrica quella di Taylor, appassionato di danza classica e poeta d’avanguardia: interessi che spesso saltano fuori nelle sue performances dove solitamente antepone al concerto vero e proprio un breve ma intenso reading di sue composizioni. Un indiscusso innovatore nel senso tecnico-armonico dello strumento: i patterns percussivi, sulla scìa della scuola monkiana, fungono da input per un viaggio estatico attraverso gli aspri lidi dell’atonalità. Un sentiero arduo da seguire per i profani (e anche per tanti pseudo-habitué di tali sonorità) ma le cui coordinate spazio-temporali Taylor ha cercato di rendere note durante la lunga chiacchierata in conferenza.La sua musica, meltin’ pot di esperienze socio-etnico-culturali (da lui citate la santerìa afrocubana, l’architettura dell’antico Egitto, la forza evocativa della voce) dovrebbe essere intesa come trance, possessione: concetti inusuali in ambito jazzistico ma che, al momento di esaminare il rapporto tra l’artista e il fruitore dell’opera, balzano alla mente come gli unici in grado di permettere una completa fusione d’intenti. Io, spettatore, mi aspetto da te, artista, di essere preso per mano e condotto verso un temporaneo oblio delle sofferenze quotidiane. Il tutto permeato da una concezione della temporalità unica, che sembra andare contro l’occidentale modo di intendere lo svolgersi degli eventi: non più successione progressiva seguente una linea retta ma sforzo per interrompere questa continuità e sospendere l’esperienza in un temporaneo vortice acronico. Inutile dire che l’ammirazione nei confronti di personaggi tali è smisurata: Cecil Taylor che commosso racconta della prima volta (a dodici anni) in cui vide Billie Holiday dal vivo è stata una scena che difficilmente dimenticherò.

 

Recensione dei concerti di Bologna e Reggio Emilia di Marco Paolucci

uccio12@hotmail.com

Ed ecco i kathodik-writers che venerdì 12 ottobre si preparano alla serata del concerto organizzato da Angelica. La cosa si preannuncia interessante anche perché Cecil Taylor con Anthony Braxton sono presentati come duo in prima assoluta. Notizia che viene smentita appena ci sediamo quando la speaker del teatro annuncia che nel set ci sarà anche William Parker, modifica dell’ultima ora. Aspettiamo allora fiduciosi lo sviluppo di questa nuova formazione. Il meraviglioso palcoscenico del Teatro Comunale di Bologna fa da contorno allo spettacolo che inizia con Cecil Taylor che arriva e declama per una ventina di minuti una poesia, lavorando sulla voce come sui tasti del pianoforte, per una esibizione che costituisce un ottimo antipasto a quello che verrà dopo. William Parker e Anthony Braxton si succedono sul palco esibendosi in soli che permettono di mostrare le abilità di ognuno ai rispettivi strumenti, sorta di brevi “Sequenze” di riscaldamento. Arriva il concerto, momento topico atteso dalla sala, con il trio Taylor, Parker, Braxton, tre delle migliori teste pensanti della musica contemporanea, e inizia la performance vera e propria, quella per cui i kathodik-writers presenti nella sala si sono sobbarcati la fatica, ma dalle prime note udite ampiamente ripagata dai tre giganti-uomini. Ad un certo punto un assolo di Braxton che sta per raggiungere l’apice del patos si congela nel mentre perché Taylor, senza nessun preavviso, prende e se ne va lasciando tutti a bocca aperta. Gli imbarazzatissimi Parker e Braxton posano gli strumenti, salutano la platea e con lo stupore dipinto sui loro volti e la consapevolezza che l’alchimia per questa sera non tornerà più se vanno dietro le quinte. Spettacolo finito e “Question Time” a non finire sul perché e percome di questo incredibile gesto.  Il giorno dopo, sabato 13 lo spettacolo si sposta al Teatro Valli a Reggio Emilia, (il vostro kathodik-writer dopo aver lasciato l’altro kathodik-writer a Bologna si inerpica per quel di Reggio Emilia per assistere all’esibizione). Teatro bellissimo, e potrone comodissime bendispongono lo scrivente che cerca di captare dagli altri giornalisti novità o chiarimenti su quello che è successo la sera prima, sul perché di quello strano gesto di chiusura di Taylor. Ma sfortunatamente non si riesce a sapere nulla. Con un po’ di ansia inizia la visione del concerto che in questo set comprende anche Tony Oxley, batterista sopraffino che apre la prima parte della performance, dedicata come il giorno precedente ai soli. Oxley si esibisce, ma sarebbe meglio dire si diverte piacevolmente alla batteria e sciorina un set di una ventina di minuti di pura e placida improvvisazione che grazie al suo tocco semplice e delicato fluisce perfettamente senza sbavature urticanti. Tocca poi a Parker, Braxton e Taylor stesso, ognuno impegnato in una sorta di “Sequenze” di riscaldamento mutuate dal giorno precedente. La seconda parte del concerto invece vede uscire tutti e quattro i musicisti che suonano per quasi un’ora improvvisando con capacità, stile, classe da vendere; ognuno entra nel discorso degli altri senza forzature, ognuno dei musicisti esce dalla struttura del brano senza frizioni ma con una grazia incredibile; uno sviluppo del pezzo che tocca punte di caos controllato, una tempesta sonica di catartica esuberanza. Un concerto impressionante per potenza e bravura che quando finisce lascia la platea esausta e sconvolta. Il quartetto esce, e poi rientra per un bis necessario che permette agli astanti di ritornare letteralmente sulla terra, grazie ai marchingegni sonici che Taylor, Braxton, Parker e Oxley sanno manovrare con perizia per la fortuna dei presenti. Un momento indimenticabile che lascia il segno. Si accendono le luci della sala e il vostro kathodik-writer non può far altro che intraprendere la via verso casa.