Antonio Giugliano

 

 

 

 

Quattro Chiacchiere Con L’Autore di ‘Racconti Bastardi’

Intervista A Cura Di Alberto Spatafora chmingus@libero.it

Autoscatto a Cura Di  Antonio Giugliano

D= domanda
R=risposta

D: “Racconti bastardi…”: già il titolo indica qualcosa di forte. Potrebbe
illustrare al lettore di cosa si tratta?

R: Sono 14 racconti brevi, scritti quasi tutti in prima persona, ma non prettamente
autobiografici. Ho usato la prima persona perché mi piaceva calarmi nella parte dei
personaggi, per sentire meglio come potesse essere uno che decide di avere un
rapporto con una cagna, o ammazzare uno sconosciuto, o impiccarsi nel campanile di
una chiesa, o fare l’untore per vendetta… e via discorrendo. Il titolo rimanda a
qualcosa di forte, di duro, di violento, è vero; il termine bastardo indica in genere
qualcosa di spregevole, ma un bastardo se ne fotte. Io ho cercato di calarmi in
personaggi spregevoli, per dar voce al loro punto di vista, che è sempre taciuto in
questi tempi di buonismo imperante.

 

D: Questi racconti sono scritti quasi tutti in prima persona, l’ha detto. Ma quanto
c’è di autobiografico?

R: Sono autobiografici completamente, non nel senso che io confessi di essere un
assassino o uno stupratore o uno che picchia la moglie. Quanto piuttosto nel senso
del “nihil humani alienum a me puto”, come scrisse un commediografo latino.
Cioè, a dirla in breve, tutte le cose umane sono fatti miei.

 

D: 1979 è il titolo di un racconto che in qualche modo fa riferimento a un epoca
molto tormentata della nostra storia. Come ha vissuto lei quel periodo?

R: Nel 1979 avevo 20 anni. Ero un ingenuo giovane di provincia. E per di più una
provincia del sud, quella di Napoli, dove le cose arrivavano in ritardo e
trasfigurata da un eco che ingigantiva tutto e ci faceva sentire più piccoli.
Eravamo da un lato sommersi da cose più grandi di noi: il terrorismo, i gruppi
giovanili, il movimento del ’77, cose che altrove già agonizzavano, da noi erano in
pieno boom. Il femminismo, per esempio. S’immagini un gruppo di 30 persone che
frequentano una radio libera, e di questi 30 26 sono maschi e 4 sono femmine. Allora
era una cosa drammatica. Ora direi con ironia che le ragazze avevano un sacco di
possibilità di scelta, rispetto a noi ragazzi, e le posso assicurare che le
sfruttavano tutte… Però fu in un certo senso un’epoca eroica, se penso al
conformismo, al bigottismo, della provincia di allora… Un conformismo e un
bigottismo che in questi giorni sembrano in pieno reflusso…

 

D: Lei scrive storie di mediocri, l’uomo o la donna che lei rappresenta compiono
spesso atti riprovevoli se non immorali: sono vittime della società ma soprattutto di
sé stessi. Nessun ottimismo?

R: Le risponderò con una citazione da una commedia di Peppino de Filippo:
“L’umanità fa schifo…”

 

 

D: In “Claudia” lei scrive una storia d’amore, che è tuttavia pervasa da un
senso di nostalgia, da un sapore di cose perdute. Che cos’è l’amore per lei?

R: In quel racconto ho scritto la storia di due che si trovano dopo esseresi
inconsapevolmente cercati da una vita. E ho cercato di scrivere una storia durante la
quale non si dicono mai “ti amo”, ma se lo dimostrano nei gesti, nel
desiderio che hanno l’uno dell’altra e viceversa. Oggi l’amore viene svenduto a
tutti gli angoli, in televisione, nelle pubblicità, nei reality, nei giornali, nelle
riviste, nei supermercati; non se ne può più, di quest’amore svilito e offeso che ci
rende tutti piccoli pupazzi. E invece L’amore, l’amore che non è solo quello tra due
esseri umani, ma quello per il mondo, è una delle cose per le quali vale la pena di
vivere, assieme alla bellezza…

 

 

D: Cosa vuol dire per lei scrivere?

R: Vuol dire vivere due volte.

 

D: Ha mai frequentato scuole di scrittura, corsi di scrittura creativa? Chi sono
stati i suoi maestri?

R: Mai frequentato scuole di scrittura. Non ho avuto maestri perché a 15 o 16 o 20
anni non hai maestri, ma semidei, dei quali ti senti onorato di sciogliere i calzari,
se potessi… I miei semidei erano prima di tutti Nietzsche e un poeta francese:
Guillaume Apollinaire; poi Dostojevskij, Celine, Bukowski, Jarry, Rimbaud, i
surrealisti e i dadaisti, Baudelaire, Hemingway, Henry Miller, Anais Nin, Marina
Cvetaeva, Ennio Flaiano, Guido Piovene, Stefano D’arrigo, Bob Dylan, Guccini, Lou
Reed, John Coltrane, Charles Mingus, Charlie Parker, Gli Area e Demetrio Stratos,
Paolo Conte, Sonny Rollins, Dizzie Gillespie, Gato Barbieri, Boris Pasternak,
Montale, Ungaretti, Alberto Savinio e tantissimi altri che in questo momento non
ricordo. Tutta gente dalla quale ho imparato il sacrificio costante nell’apprendere
la tecnica, nell’esercitarsi continuamente del diventare padrone di qualsiasi
tecnica, non fine a sé stessa, perché nessuna sapienza tecnica serve se non hai nulla
da dire, e la tecnica ha una sua ragione di essere solamente nel suo superamento… E
poi la strada, la strada intesa come gente conosciuta e sconosciuta incontrata, amata
o abbandonata, le notti solitarie, le bevute per non impazzire di dolore, i
tradimenti fatti e quelli subiti, i deliri di solitudine, i desideri non realizzati,
la vita, la vita infine… Non conosco nessuna maestra più grande della vita.

Racconti bastardi… di Antonio Giugliano
Seneca Edizioni pp.152 € 13,00.
ISBN 978-88-6122-019-5