Milos Forman ‘L’ultimo Inquisitore’


Milos Forman Fra Bellezza E Orrore.

Di Alberto Maroni

alberto86a@excite.it

Di già perché un film annovera fra il cast la presenza, almeno puramente estetica, di Natalie Portman merita la sufficienza sul giudizio finale. Trattandosi poi di un film di Milos Forman (‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’, ‘Amadeus’, ‘Larry Flight (oltre lo scandalo)’,ecc.) occorre andare ad analizzare meglio il testo in questione con il massimo del rispetto.
Trattasi dell’ULTIMO INQUISITORE, pregevolissimo film di alte qualità drammatiche, psicologiche e direi anche storico/sociali. Ebbene si, il vecchio Milos ha fatto centro un’altra volta.
Questo intelligente affresco che riprende le disavventure della Spagna fine settecento e inizio ottocento, si avvale di una regia come al solito dinamica, partecipativa, multiforme, emotiva e drammatica, che sa emozionare e conquistare almeno quanto l’uso della fotografia (colori vivi e pulsanti, che seguono con maestria gli stati d’animo dei protagonisti e dei momenti della storia) e l’interpretazione degli attori: semplicemente sublime e splendida Natalie Portman che nei suoi personaggi Ines e Alicia (madre e figlia) riesce a mostrare un’emotività partecipativa e sofferta. Secondo il sottoscritto, una delle maggiori interpreti americane odierne;
altrettanto bravo il “frate Lorenzo”, poi ritrovatosi volteriano, Javier Barden, e Stellan Skarsgard nei panni di un Francisco Goya complesso.
La storia è ambientata in anni in cui la storia europea stava diventando altra storia: la Rivoluzione Francese. Ma non siamo in Francia, nossignori, trattasi di una Spagna ancora poderosamente dominata da clero e monarchia. Attraverso le storie personali del pittore Francisco Goya , dell’ultimo inquisitore padre Lorenzo e della giovane Ines, condannata alla prigione dall’Inquisizione per una falsa ACCUSA di giudaismo, assistiamo alle sfuriate finali di un perfido clero nazista e intollerante, appoggiato da una monarchia vuota e assente ai bisogni del popolo, per poi vivere la situazione del dominio napoleonico, con le sue visibili contraddizioni interne, e la finale dominazione inglese.
La prima impressione che viene fuori dal film è appunto  il grande senso di ingiustizia sociale che pervade tutte le epoche, restando immutata per il popolo sia che il padrone sia spagnolo, francese, o inglese. Cambiano i padroni e le concezioni, ma non cambia la storia. Il popolo è una bestia impaurita (come rappresentato bene dal montaggio delle attrazioni, utilizzato più volte nelle scene dei disordini civili).
Come secondo aspetto, il film di Forman è un minuzioso affresco di storie individuali di perdita e ritrovamento che si fondono nel complesso evolversi della storia. Ines che perde la libertà e la salute mentale, in extremis  ritroverà “una” figlia. Padre Lorenzo, banderuola del clero e della rivoluzione, egoista e profittatore, perderà la vita, ma forse ritroverà  una dignità personale.
Goya, personaggio ambivalente, che critica il sociale con l’arte, ma è al servizio di esso, perde l’udito. E cosa ritrova? Non lo sappiamo. Sappiamo che però insegue la bellezza. La bellezza a cui vuole aiutare ad avere una vita felice, la bellezza che non riesce mai a rappresentare nei suoi quadri, la bellezza simboleggiata da Natalie Portman. L’ultima inquadratura del film raffigura un uomo sordo (Goya) che rincorre e chiama ad alta voce una donna impazzita (Ines) che tiene per mano un uomo morto trascinato da un carretto (padre Lorenzo). Goya chiama ma non può sentire, la ragazza saluta e và avanti.
Goya non vuole più ascoltare il mondo, vuole ormai solo cercare la bellezza.
Forman vuole che il mondo, socialmente così disastrato anche ai giorni nostri, segua la bellezza, l’umanità semplice e libera, ma si sente come un sordo che chiama una pazza che trascina la morte.

Voto: 8