Muse ‘Black Holes And Revelations’

(Warner Bros. 2006)

La musica dei Muse si è sempre mossa lungo il sottile crinale che separa il sublime dal kitch; questo “Black Holes And Revelations”, ultimo (per ora) capitolo della discografia di Matt Bellamy e soci, non aiuta a sciogliere il dubbio se nella band siano prevalenti le tensioni verso l’uno o l’altro e, soprattutto, non fornisce indicazioni su quella che sarà l’evoluzione musicale del trio inglese.
Ci sono tutti gli ingredienti della loro arte in questo album: la grandeur romantica, le schitarrate furiose, le maestose lentezze. Ma c’è anche qualcos’altro: Supermassive Black Holes, per esempio, ibrida il falsetto lascivo di Prince con il glam decadente dei Placebo, sporcando il tutto con una patina di elettronica; City Of Delusion vanta una chitarra spagnoleggiante ed un’impennata orchestrale che profuma d’arabia. La splendida Hodoo, invece, è introdotta da un’elettrica “morriconiana”, salvo poi, nel mezzo, tingersi di romanticismo e risprofondare nella propria languida malinconia nel finale.
Per il resto, sono i soliti Muse: possenti scariche metal e ritornelli enfatici (Assassin), ballad brit (l’ottima Starlight, con le figure di piano rubate ai Coldplay), rimandi ai Queen più seriosi (i cori di Soldier’s Poem) e sprazzi prog (la galoppante Knights Of Cydonia, anche questa con venature morriconiane e coretti degni di Freddie Mercury e della sua “Regina”).
Tirando le somme, dunque, non un disco brutto, ma neppure un capolavoro. La sensazione è quella di trovarsi di fronte al classico lavoro di transizione, un’opera con cui la band dimostra di voler cercare strade nuove da battere senza dimenticare, però, le proprie origini. Lecito attendersi che il prossimo disco si muova lungo una direzione musicale meglio definita, che permetta ai Muse di affrancarsi dal ruolo di cantori dell’Apocalisse che, se fino ad ora ne ha garantito la fortuna, rischia adesso di trasformarsi in una pericolosa gabbia.

Voto: 6

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