Yuko Nexus ‘Nexus6 Song Book’


(Sonore
2005)

 

È bene dirlo
subito: bisogna avvicinarsi a questo disco con estrema cautela. Il
rischio è quello di uscirne leggermente frastornati, magari ritrovarsi con gli attributi ruotati
di 180 gradi. La cosa
bella è che una volta importato l’album sull’iPod (ah, cosa
bisogna fare per trovare il tempo da dedicare alla musica di questi
tempi) mi viene classificato sotto la voce “easy listening”,
anche se nel mondo distorto di Yuko Nexus6 la definizione ha
perfettamente senso. Tragicomico l’aneddoto relativo all’ingresso nel
mondo musicale di Yuko, tra l’altro assistente universitaria e
beneficiaria di una menzione d’onore al prestigioso Pris Ars
Electronica, avvenuto grazie agli esperimenti condotti su un
Macintosh presente sul posto di lavoro. Esperimenti che le hanno
valso il licenziamento. L’album propone una serie di canzoncine
stralunate e sfilacciate che mescolano sacro e profano: traditionals giapponesi,
Chopin, folk, no sense, jazz, nursery rhymes. A metà tra spoken word e sound art, la voce si aggira in quasi completa solitudine,
manipolata e distorta attraverso quella che definirei
tecnologia domestica; del tipo triste Domenica pomeriggio passata
utilizzando a random qualche software di audio processing. Il canto
skippa, si arresta, va in loop, echeggia se stesso, giocherella con
qualche sample, inciampa su un’interferenza di passaggio e via
dicendo, in una serie di effetti naif e lo-fi. Il risultato
purtroppo convince poco, troppa l’enfasi posta sulla ricerca del
bizzarro, su una concettualità troppo esasperata, anche a
costo di infastidire e a completo discapito di qualsiasi forma di
musicalità propriamente intesa. “Witty minimalist electronic music, filled with
suspense, love and catastrophe”
, affermano le note promozionali.
Definizione altamente suggestiva, sicuramente più della
musica, che alla fine suona come un mix tra una versione atomizzata
di Agf e mia sorella dieci anni fa che canta davanti allo
specchio da bagno con tanto di spazzola per capelli a mo’ di
microfono. Tutto sbagliato allora? In realtà qualcosina si
salva, nello specifico la bella performance Live che percorre
una strada disseminata di glitches simili a cocci di vetro, screziata
da feedback e chitarra fuzz; l’atmosfera da cabaret di Ringo No Ki
No Shita De
, con la voce a sfiorare l’isteria nella parte centrale
e il canto fantasmatico su intrusioni ambientali di Wenn Ich Mir
Was Wünschen Dürfte.
Totalmente folle il brevissimo
frammento drum’n’bass di Nano. Giusto menzionare il
bellissimo artwork del cd, con Yuko in versione miniaturizzata a
spasso su un tavolo. Dunque onore al merito sia
a Yuko che alla Sonore per avere il coraggio di proporre un’opera
così ostica e fuori da ogni schema, siano sempre benedetti i
diversi, ma onestamente non è facile essere disposti a sopportare tanto.

 

 

Voto: 5

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