Tetuzi Akiyama/Jason Kahn, ‘Till We Meet Again’

 

(For 4 Ears 2005)

Jason Kahn, maestro delle micropercussioni, delle
pulsazioni ai limiti della percezione, delle frequenze risonanti, e
il chitarrista giapponese Tetuzi Akiyama, probabile candidato
ad occupare il posto lasciato vacante da Taku Sugimoto
apparentemente travolto per sempre dal clichè di
un’insopportabile, quasi totale, mutismo acustico. Sulla carta un
incontro promettente e stimolante, ma riuscito solo in parte. Non
tanto da un punto di vista qualitativo dato che gli spunti
interessanti non mancano, ma essenzialmente da quello quantitativo.
La sensazione è che i due abbiano voluto giocare al risparmio
senza impegnarsi sino in fondo, lasciando solo intravedere le
potenzialità della loro collaborazione che avrebbe meritato di
essere sviscerata maggiormente. Ad aumentare tale sensazione
contribuisce il fatto che solo quattro tracce su nove sono
ascrivibili ad uno sforzo comune, mentre quello che rimane viene
affidato alle esecuzioni in chiave solista dei due. Le cose migliori
sono poste all’inizio e guarda caso coincidono con i momenti eseguiti
in duo. Jason Kahn propone dei fondali di suoni sottili ma
insistenti, metallici ma carezzevoli, scorie filtrate di ritmo e
ondeggiamenti di synth, che scandiscono i tempi, rallentati,
dell’apparire della chitarra del giapponese. Poche note ma dotate di
una presenza scenica notevole, quasi strappate dall’anima e lasciate
risuonare sino all’ultimo respiro per disegnare delle rarefazioni
blues. Forse niente di particolarmente nuovo, ma comunque molto
piacevole, e tanto basta. Contribuisce alla riuscita il mixaggio del
disco, con la chitarra posta molto in avanti, per un effetto
fortemente fisico. Lascia l’amaro in bocca la brevità della
seconda e terza traccia, assolutamente promettenti ma che finiscono
molto prima di avere completamente assoggettato l’apparato sensoriale
e trovato uno sviluppo pienamente soddisfacente. Meno riuscite le
esecuzioni soliste. Qui il suono della chitarra si fa più
fratturato e aspro, ma perde quel modo leggiadro di scivolare e
adagiarsi sui tappetini di suoni stesi da Kahn, il quale dal canto
suo lasciato da solo si abbandona a sinewaves droneggianti
abbastanza prevedibili.

Voto: 6

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