Autechre ‘Untilted’

(Warp 2005)

Al solito. Aspetta aspetta e alla fine, niente rimane di ciò che si aspettava. Che bello.
Anche perché non so quali illusioni mi ero fatto, inutile farsene con gli Autechre. Si tracciano un paio di linee e si dice “oltre queste, non andranno” e poi escono con il nuovo album e ci vagolano intorno, a questi confini che diligentemente ti eri premurato di tracciare. Oppure sei tu a dimenticarti completamente di quelle due linee perché il discorso affrontato è tutt’altro.
E’ inutile che i nuovi electronic musicians mi vengano a raccontare cazzate; che me ne faccio delle vostre ricerche timbriche, delle vostre registrazioni sul campo, dei vostri filtri al passo e dei vostri microlirismi a contatto? Non me ne faccio niente della vostra sterilità e della vostra ricerca (ops sinonimi di questi tempi?). Gli Autechre fanno tutto meglio e con facilità, sono padroni dei propri mezzi e per questo indipendenti dalle microvariazioni, dalle fregole e dagli umori snobistici dell’ambiente elettronico. Usano gli stessi suoni (ma quante variazioni hanno subito nel corso degli anni? Tante da non riconoscerli), un po’ di hardware accumulato nel tempo, maxmsp, sequencer, granular synthesis, basta. Ma il prodotto non è mai uguale a se stesso. La musica degli Autechre non è la solita somma degli elementi, è un fenomeno emergente, per dirla in termini matematici. Il suono è simile a se stesso (ma non identico), è omotetico e per questo naturale e profondo nelle sue variazioni. C’è l’elemento umano (ovvio), non solo di algoritmi siam fatti, Sean Booth e Rob Brown sono sicuramente anche interpreti, oltre che programmatori deus ex machina del proprio environment, e si sente anche questo.
Il nuovo album (il titolo un giochino che spinge a confondere untilted=non in tilt con untitled=senza titolo, parecchi ci sono cascati in rete) che li vede a cavallo di pacchetti di dati, a tirar dietro a moti browniani delle informazioni, a irregolarità e asprezze del flusso di informazioni e a volte a domarle, è la dimostrazione di quanto abbiamo detto finora.
Risultato: modellizzazioni sonore di martelli pneumatici, colonne sonore per operazioni alla cornea, musica d’ambiente per zone di recupero dati.
Sembra la solita cazzata ma questo album non è idm, non è ambient, non è svilibile etichettandolo onnicomprensivamente elettronica, questo album è Autechre!
Ne hits, ne brani trainanti, quasi spariscono anche le persone dietro le macchine, quindi niente super-ego.
Non chiedo ne voglio di più.
Note semipratiche.
La durata media dei brani si aggira sui sette otto minuti (anche 15 in uno), ma scivolano via lucidi e leggeri, come raramente capita.
Come ascoltare un canale morto alla radio e improvvisamente voci e suoni si materializzano prendendo forma, lasciandola, creando coerenza e poi lasciandosela alle spalle. Rimani incollato cercando di ricomporre centinaia di frammenti confusi nel rumore di fondo, semplicemente lo fai.
E ti piace.

Voto: 9

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