Kar-Wai, Soderbergh, Antonioni ‘Eros’

Il doppio intento del progetto, un trittico che declinasse l’eros attraverso lo sguardo di Michelangelo, sembra essere andato fallito ed è un peccato.

 

 

 

 

 

 

 

Di Lucio Carbonelli

lucio.carbonelli@aliceposta.it

Strano film questo, che a fine visione lascia interdetti e anche un po’ delusi ad essere sinceri. Cioè, leggi sulla locandina tre maestri del cinema raccontano l’erotismo, e già la cosa ti attira, poi più in basso leggi i nomi dei registi (Kar-Wai, Soderbergh, Antonioni) e allora veramente ti aspetti un qualcosa di grande… e invece. Qualcosa di bello c’è in queste immagini, intendiamoci, ma il problema è che è troppo poco; il doppio intento del progetto, un trittico che declinasse l’eros attraverso lo sguardo di Michelangelo, sembra essere andato fallito ed è un peccato. Ma prima di andare a parlare dei vari corti separatamente, una cosa va comunque detta: i disegni di Lorenzo Mattotti sono mirabili, la canzone di Caetano Veloso è sublime.

Il primo episodio è quello di Michelangelo Antonioni, si chiama “Il filo pericoloso delle cose” e vede protagonisti una coppia di amanti più una ragazza molto libera, il luogo è la Toscana odierna. L’eros qui messo in scena è un eros in crisi, la coppia discute fin dalla prima inquadratura, i due decidono di andare a fare una gita, salgono in macchina e prendono una strada poi fanno marcia indietro (una metafora? e di cosa?) e si ritrovano in un posto strano e sognante, bello, dove ragazze nude sono al bagno. “Perché non siamo mai venuti qui?”, si chiedono i due amanti; “Forse perché non siamo mai stati abbastanza curiosi”, si rispondono all’unisono. Un’altra metafora?

Ecco, il problema di questo corto sono i dialoghi: al di là del pessimo doppiaggio non in sincrono, non si sa se definirli artefatti, retorici o semplicemente brutti. Qui viene detto quanto di più scontato possa esserci sull’amore e, anche se certe movimenti registici e certe inquadrature sono veramente belle, certo con dei dialoghi così sarebbe stato preferibile il silenzio; inoltre la visione si fa ancora più faticosa lì dove gli attori paiono più disorientati e spinti dalla macchina da presa che, appunto, attori. Anche l’incontro con la ragazza libera, senza farci domande sulla plausibilità o meno della cosa, pare alquanto artefatto: Antonioni ha dovuto tagliare ben tre minuti della scena del “monologo” femminile, ma a noi è bastato un minuto per renderci conto di quanto quella scena fosse imbarazzante al di là della sicura sensualità dell’attrice. Anche la fine è piuttosto imbarazzante, e non certo per la materia trattata.

Il secondo episodio è quello di Steven Soderbergh, si chiama “Equilibrium” e vede protagonisti un uomo (e forse sua moglie) e il suo psichiatra, il luogo è l’America della metà degli anni ’50. L’eros qui è un qualcosa di sfuggente, il protagonista sogna ogni notte la stessa donna ma non si ricorda chi è, un qualcosa che non vediamo o, semplicemente, non ricordiamo di conoscere.

Questo episodio è ancora più difficile da giudicare perché sembra brillante, umoristico, quasi divertente, ma poi dopo un po’ ci si stufa a sentire parlare dei problemi di un pubblicitario in crisi mentre il suo psicanalista cerca l’oggetto del suo desiderio altrove, scadendo spesso e volentieri nel ridicolo. Questo è l’unico episodio in cui non c’è eros vissuto ma, piuttosto, sublimato nelle parole: poteva essere altrimenti? C’è la psicanalisi di mezzo. Anche qui tuttavia abbondante uso di metafore (?!): la realtà è in bianco e nero e il sogno è blu, e si scappa via dalla grigia realtà con l’aiuto di un aeroplanino di carta.

Il terzo episodio è quello di Wong Kar-Wai, si chiama “La mano” e vede protagonisti una prostituta d’alto bordo poi in rovina ed un giovane sarto, il luogo è la Shangai dell’inizio degli anni ’60. L’eros visto dall’Oriente è struggimento, sofferenza, nostalgia per qualcosa che c’è stato e non s’è mai più ripetuto.

Un giovane sarto, un giorno, va a prendere le misure ad una bellissima donna che di mestiere fa la prostituta e questa, con la crudeltà che sa essere solo donna, lo legherà a sé per sempre, con l’ausilio di una severa carezza; egli, qualcosa di più di un amico, rimarrà devoto a lei fino alla fine dei suoi giorni quando, ormai in disgrazia, non (si) potrà fare altro che rimpiangere l’amore non vissuto. In questo episodio, sicuramente il migliore, non c’è esibizione di corpi, eppure Kar-Wai, mantenendo un suo stile preciso che si spera non diventi cliché, riesce a narrarci una storia ricca di un eros  delicato ma anche torrido, e a parlarci del vero amore, quell’amore così forte che fa perdere ogni dignità: il dramma del giovane sarto sta proprio nel rendere la sua amata sempre più bella ma solo per gli altri, poter toccare il suo corpo ma dover trattenere il desiderio, non poterla avere mentre l’hanno avuta tutti semplicemente pagando.