Sonic Youth/Mats Gustafsson And Friends ‘Hidros 3 (To Patty Smith)’

(Smalltown Supersound/Wide Records 2004)

La cosa sorprendente con i Sonic Youth è che gira e rigira, quando magari sei portato a pensare che oramai abbiano detto tutto (vedi gli ultimi albums pop), riescono sempre ad uscirsene con qualcosa di assolutamente interessante e fresco, soprattutto quando decidono di percorrere il sentiero parallelo della sperimentazione. Era successo tempo fa con la serie ‘YR'(da possedere per intero, meglio se in vinile in modo da sommare al piacere dell’ascolto quella del puro feticcio) e succede nuovamente adesso con questo ‘idros 3 (To Patti Smith)’ orchestrato dal sassofonista Mats Gustafsson, astro in continua ascesa del free jazz in salsa europea e aspirante al trono finora occupato da un monumento vivente quale Peter Brötzmann. Efficacissima la line-up dei musicisti coinvolti, che comprende oltre al sassofonista svedese e ai SY al completo (con Steve Shelley che abbandona la batteria per abbracciare la chitarra), Loren Connors (chitarra), Linda Kallerdahl (voce processata), David Stackenäs (chitarra acustica amplificata), Lotta Melin (audiobox) e Jim O’Rourke (mixing). La lista degli ospiti illustri si estende anche oltre il contenuto prettamente musicale con la copertina realizzata dall’artista grafico, come pure folletto elettro pop, Kim Hiortøy. Dicevamo della direzione di Gustafsson, che ha pensato l’unico pezzo che costituisce il disco in maniera abbastanza singolare. Una composizione in nove parti, in realtà ben poco composta fatta eccezione per alcuni semplici punti di riferimento per quanto riguarda il timing e lo scheduling dei singoli interventi, all’interno della quale ciascun musicista viene lasciato libero di improvvisare. Ma non è questa ovviamente la singolarità, quanto il fatto che ognuno dei soggetti coinvolti ha eseguito la sua parte rinchiuso nella propria stanza in completo isolamento dagli altri, ad eccezione di Jim O’Rourke chiamato a remixare in real time il tutto (leggendo le note del CD si scopre che tale remix verrà utilizzato solo in una futura versione in vinile). È con tale modalità che il pezzo è stato eseguito allo Ystad Konstmuseum di Svezia, con il pubblico libero di muoversi da una stanza all’altra e quindi assemblare la propria personale versione. Con tali premesse si potrebbe pensare a caos in libera uscita, ma la combinazione di casualità benevola, feeling telepatico tra i musicisti e sapiente re-assemblaggio in studio, alla fine forgia un’opera dotata di una sua ferrea coerenza e logica teatrale nel modellare l’apparire/sparire degli attori in scena. Un muro di suono immane e altero: ‘Fee Jazz’di Ornette Coleman e ‘etal Machine Music’ di Lou Reed fatti a pezzi con un martello pneumatico e i cocci lasciati a contaminarsi tra le scorie industriali. Un ascolto ovviamente non facile: folate di rumore bianco, effetti elettronici sfuggenti, bestiali ruggiti di sax, allucinanti interventi alla processed voice di Kallerdahl, feedback che ristagna nell’aria come gas Sarin, e al centro di tale vortice di detriti sonori Kim Gordon con il suo canto atonale e compassato (sentito e risentito, ma sempre, come dire? Wow!!) a snocciolare cantilene senza senso. Da manuale la prima parte del disco. Partenza con chitarre che strimpellano e cercano di intercettarsi a destra e manca, Kim diva jazz appena alzata dal letto, elettricità che man mano cresce e si accumula come nubi nere all’orizzonte. Quando il punto di non ritorno sembra essere arrivato ecco che tutto rallenta e scende una calma irreale guidata dalla chitarra di Loren Connors, poi lentamente spazzata via da una tempesta di electronics e distorsioni per lasciare spazio a Gustafsson e alle sue abrasioni fiatistiche, delicate come passate di carta vetrata in faccia. Seguono ancora Kim e poi Lindha con i suoi effetti ora sciamare d’insetti inseguiti dalle fiamme ossidriche, ora torturato canto muezzin, mentre attorno tutto sembra crollare. Ovviamente anche il resto non scherza, ma voglio evitare di tediarvi con stupide descrizioni; immagino abbiate capito che (bella, a tratti bellissima) aria tira. Un vero inno alla potenza del rumore elettrificato per il quale è caldamente consigliato un ascolto a volume altissimo.

Voto: 9

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