Weird War ‘If You Can’t Beat’em, Bite’em’


( Drag City / Wide 2004)

Ian Svenonius è un grande. Per quello che ha fatto in passato e per quello che sta facendo ora. Di sicuro questa non è la sede più adatta per raccontare una storia esaustiva di tutto il suo percorso artistico. Basti sapere che è stato il fondatore dei gloriosi Nation Of Ulysses, vanto della Dischord e punto di riferimento per tutto l’hard-core più creativo e politicizzato degli anni 90 (insieme ai NoMeansNo), e poi di quella meraviglia di band chiamata Make Up, durata la bellezza di otto album (da recuperare almeno Sound Veritè e I Want Some) vissuti tutti all’incrocio di rhythm and blues e garage-rock.
Conclusa l’esperienza Make Up, Ian è ripartito con questo nuovo progetto a tre, che dopo l’esordio omonimo in cui era della partita anche Neil Haggerty dei Royal Trux e l’uscita di un secondo album a nome Scene Creamers, ritorna con questo gioiello di funka-garage-elia metropolitana. Non tutta farina del sacco di Svenonius comunque, ma anche degli altri due componenti, anch’essi vertici del triangolo Weird War: a cominciare da Michelle Mae (ex Make Up), che, diciamolo subito, non è la solita ragazza carina messa a suonare in un gruppo da un manager, più perché fa figo che non per le sue reali doti (sul tipo di Meg White per intenderci), ma autentica musicista, manipolatrice di un basso che è un autentico propulsore di groove. Non meno abile anche Alex Minoff, proveniente dai Six Fingers Satellite (e scusate se è poco!) visto che dalla sua chitarra tira fuori indifferentemente assoli spaziali o iperfuzz acididdimi. Weird War riprende sostanzialmente lo stesso discorso dei Make Up, il che significa: sixty-punk corroborato da dosi di soul-music nella musica, attitudine combat e invettive politiche nei testi. Stavolta però la novità consiste nella negritudine della musica che si rifà ancora più forte che in passato: groove funkadelici, basso funk e profusione di chitarra acidissima (che sembra saltatata fuori dall’astronave dei Funkadelic!), sul tutto, al solito, svetta la degenerata voce di Svenonius dotata di quella poco identificabile capacità di rendere speciale il tutto.
Avete già capito che si tratta di roba davvero eccitante, per cui lasciate perdere il secondo fighettissimo album degli Strokes, i Rapture o tutte le annunciate “nuove sensazioni”; la vita è qui. Cercatela.

Voto: 9

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