Indie Rocket

date aggiornate Chevreuil, Valina, Bulbul…

 

CHEVREUIL + GORDZ (FRANCIA)

 

SABATO 24 GENNAIO                        Milano @ Conchetta
DOMENICA 25 GENNAIO – ORE 17:00 Mirandola Modena @ Aquaragia
MARTEDI’ 27 GENNAIO                       Ancona @ Thermos
MERCOLEDI’ 28 GENNAIO                  Roma @ Strike
GIOVEDI’ 29 GENNAIO                       Conognano – Treviso @ Siesta Club  
VENERDI’ 30 GENNAIO                       San Vito di Leguzzano – Schio (VI) @ Centro Stabile di Cultura

CHEVREUIL EUROPEAN TOUR
Possibilità di FESTIVAL ITINERANTE CON:  HONEY FOR PETZY (SWISS)  NEPTUNE (USA) NED (FRANCIA)

GIOVEDI’ 1 APRILE Fano @ Bachelor + HONEY FOR PETZY
VENERDI’ 2 APRILE Roma @ INIT + HONEY FOR PETZY TBC
SABATO 3 APRILE Pescara @ indie rocket festival + HONEY FOR PETZY (SWISS) + NEPTUNE (USA)  + NED (FRANCIA)  + NEW BLACK (USA)

DOMENICA 4 APRILE tba
LUNEDI’ 5 APRILE  Faenza @ Clan Destino
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VALINA (AUSTRIA) + SICBAY (USA) European Tour

MERCOLEDI’ 11 FEBBRAIO Mestre (VE) @ Jam

GIOVEDI’ 12 FEBBRAIO Fano (Pu)  @ Bachelor
VENERDI’ 13 .FEBBRAIO Milano @ Conchetta
SABATO 14 FEBBRAIO Mirandola (MO) @ Acquaragia
DOMENICA 15 FEBBRAIO  Roma @ Init

I SICBAY ( http://www.sicbay.com ) da Minneapolis/St.Paul, USA incidono per Skin Graft Records prima ( http://www.skingraftrecords.com )  e 54°40′ or Fight Records ( http://www.fiftyfourfortyorfight.com ) poi. Suonano un “Frenzied Challenge-Rock Melodico” e sono Nick Sakes (Ex Dazzling Killmen, Colossamite), Ed Rodriguez (Gorge Trio, Ex-Colossamite, Ex-Iceburn), Dave Erb. Si ispirano a Polvo, Colossamite, Pixies, Wire, Kerosene 454, 31Knots, Jawbox, Hurl, Minutemen, Faraquet, Pitchblende Si sono Formati nel 1999 a Minneapolis (Casa di  AmRep Records, Husker Du e Prince), che ha formato il loro suono potente e dolce/amaro. Combinando la storia dei suoi membri fondatori Nick Sakes, Ed Rodriguez con lo stile chitarristico di Dave Erb, il risultato è un’amalgama di tempesta, melodia e zucchero. All’inizio del 2003 Ed Rodriguez ha lasdciato la band per trasferirsiin California, dove adesso suona con i Flying Luttenbachers. Ha preso il suo posto l’amico di vecchia data e batterista straordinario Greg Schaal.

VALINA ( www.trost.at/valina  )  ” . “Vagabond” è un secondo full lenght. C’è anche un primo, che a dirla tutta è a tutt’ oggi difficilmente reperibile (se non dalle loro mani), dal titolo bizzarro: “Into Arsenal of Codes”. “Vagabond” invece, questo molti lo sapranno, è stato registrato da Steve Albini. [ … ] a Chicago. Ce n’è, a Chicago. “Vagabond”, al di là delle questioni relative a registrazione e produzione, è tutto e solo quello che ho ascoltato durante il mese di Luglio. Dopodichè, “Vagabond” è un album di bellezza desueta, una stella sfavillante nel cielo della musica indipendente europea che in pochi hanno saputo ammirare in tutta la sua lucentezza. Ecco allora, la vedo nitidamente, la bocca del lettore che dice: “eeeh, mamma mia, addirittura!!!”. Eh sì, addirittura, non scherzo mica. “Vagabond” è, nelle parole di chi per primo ha tentato di dirmi cosa ne pensasse per confrontarsi con le mie opinioni, “un grande mix di un sacco di cose che ci piacciono”. Frase che coglie lo Spirito puro, se posso dire. E non che sia un guazzabuglio senza senso della roba che uno in effetti ascolta sul percorso della propria vita e che poi va ad evacuare nella sala prove, cosa che fanno tutti, abbiamo fatto tutti; proprio per niente. Sapete cos’è “Vagabond”? E’ il potere bearsi di melodie inusuali e trasversali che originano nell’ universo musicale indie sin dalla sua nascita (se ce n’è stata) senza essere distratti dal tappeto musicale intricato e decisamente math al quale sono inerenti; ed il potere bearsi di strutture ritmiche manipolate, frantumate, altamente tecniche senza essere distratti dalle melodie alle quali sottendono. A quanto io mi ricordi, questo con i Don Caballero non era tanto facile farlo. Anche se i Valina, buttato lì di sfuggita, i Don Caballero potrebbero ricordarli per molti versi. Eppure “Vagabond” non è un album decostruito, non più di tanto; ed il suo impianto è lontano anni luce dalla tradizione noise alla quale molti lo hanno ricondotto. “Vagabond” ad un disco degli Shellac non ci si avvicina neppure più di tanto, per dire. Mancano i suoni, quelli più pesanti. Per quel che riguarda gli Slint poi, figuriamoci, niente a che spartire… le schede informative delle band sono decisamente delle puttane. “Vagabond” potrebbe essere piuttosto un album Gern Blandsten, forse addirittura Jade Tree. Ma anche qui, in pochi sarebbero stati in grado di contestualizzarne l’ originalità nell’ ambito del recinto dei rispettivi “profili” di produzione; ci sarebbe voluto il coraggio che hanno più spesso, se non sempre, le etichette che nell’ ambito indipendente sono “più indipendenti”. Discorso un po’ contorto, se vogliamo; il fatto è che a me suona parecchio. “Vagabond”, per cercare di farvelo intendere, è un album di musica di levatura, ma che non per questo manca di approcciare il vostro udito con educazione: quando sa che l’ eccessiva preparazione tecnica è ad un centimetro dall’ ostentazione, sterza bruscamente e si fa easy per non farvi perdere l’ attenzione; quando invece vi sorprende troppo distratti attiva Claus (batterista, divinità) e vi da un pizzicotto cortese per ricordarvi di mantenere gli accendini ben ficcati nella tasca, chè i tempi degli accendini sono lontani e la musica ha spesso bisogno della dovuta concentrazione. Nel senso che “Vagabond”, al contrario di una pletora di dischi di catalogo Touch&Go, ci tiene parecchio a farsi capire, è quello che vuole; e però allo stesso tempo non desidera affatto essere preso sottogamba, poiché quella è una abitudine popolare: e se a “Vagabond” gli si dice pop, lui risponde “I say horsehead under your blanket”. Quindi attenzione. Diciamo pure, oramai è il caso, che “Vagabond” è un essere umano, una persona, ed io me ne sono innamorato follemente; mentre invece i Valina sono esattamente quello che in questo periodo della mia vita io vedo come “la band ideale”. Poi chiaramente i gusti sono quanto di più magmatico esista e le opinioni vanno e vengono con i tempi… ma questo molti lo sapranno.”   GIORDANO SIMONCINI -STEWEY’S STAR #4

Recensioni su Blow Up, Rumore, Kathodik,  intervista fiume su STEWEY’S STAR #4 il più grande magazine indie italiano dai tempi di Equilibrio Precario
(3000 copie di tiratura)

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Domenica 8 Febbraio @ Kabala Jazz Club PESCARA Francois Cambuzat (FRANCIA) 

François R. Cambuzat  Francese, nato in Viet Nam, da genitori pieds-noirs del Marocco. Non ha mai vissuto più di quattro anni nello stesso posto. Saïgon, Parigi, Londra, New York, Roma, Berlino, Amsterdam, Tunisi … Le sue tournée lo hanno portato da Vilna a Cadiz, come da Tbilissi ad Atene, e oltre. É stato invitato dagli organizzatori di festivals prestigiosi come il Dokumenta di Kassel. E così sia geograficamente che artisticamente, ha esplorato mille vie: dal punk alla classica contemporanea, dal jazz alla musica maghrebina, come testimonia la sua discografia. Ha creato vari progettti. “The Kim Squad” negli anni ottanta, “Il Gran Teatro Amaro” negli anni novanta e tuttora fa parte de L’Enfance Rouge. Il  repertorio attuale è il suo giardino segreto e comprende parte delle sue melodie più amate. Le sue composizioni ed i suoi canti spaziano dai Birthday Party a Claude Debussy , dalle canzoni di certi quartieri di Tunisi alle Arie della Parigi del novecento di Jacques Ibert sino alla Spagna di Buenaventura Durutti e  Federico Garcia Lorca.  Forse la sua anima più intima. Forse la sua anima più nera.  Al pianoforte, Antonio Traldi.

“Canal d’Otrante” – L’album

Nel maggio 2002, François R. Cambuzat (voce) e Antonio Traldi (pianoforte a coda) registravano “Canal d’Otrante” il loro primo album in duo. François aveva deciso di non andare in uno studio convenzionale (ormai odia il loro suono asettico) ma di affittare una piccola cappella nel Salento, a sud di Otranto, di fronte alle montagne albanesi e a Corfù-la-Greca. Istallati su un dirupo enorme al di sopra di onde di una spettacolare lunghezza, Cambuzat e Traldi hanno vissuto per intere settimane nella più completa delle solitudini, componendo, arrangiando, suonando e registrando; protetti da migliaia di pini ed ulivi, da un cielo blu-acciaio e da un Adriatico immenso. Ogni tanto brutalmente disturbati dalle guardie costiere preoccupate di mantenere al sicuro la Fortezza Europea.

Il Salento, e specialmente il canale d’Otranto, è una delle coste italiane più frequentate dai cosiddetti immigranti “illegali” e, dovendo prendere una posizione, François R. Cambuzat è assolutamente dalla loro parte, non sentendosi per nulla europeo nell’accettazione che l’ Unione dà a questa parola. Il suo internazionalismo rimane restio a qualsiasi frontiera ed ingiustizia nell’interno e al di là dell’Europa. Canzoni in francese, inglese, italiano, spagnolo, arabo.                    

MP3 & video su www.trasportimarittimi.org

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Giovedi’ 26 Febbraio @ CODICEABAR -PESCARA Dahlia Schweitzer (USA/BERLIN) electro-clash performance di una pin up trash gestrice di un locale berlinese DATA CONFERMATA materiale promozionale qui: http://www.dahliaschweitzer.com/presskit/index.html ore 22.30

 

With one foot in Berlin and the other in Manhattan, Dahlia Schweitzer is an artist, performer, and personality constantly serving up what’s now, what’s new, what’s next in the worlds of music, editorial, photography, and nightlife.

Unlike her contemporaries, Dahlia takes a “creative director” approach to her work — hosting exclusive events at which her music is performed, her photography exhibited, and her writings

read. As such, she combines punk do-it-yourself ethics with the multimedia all-angles-covered relentlessness of a commercial brand.

WORDS & PICTURES

Dahlia’s subjects — and the forums in which she’s expressed herself — have consciously run from high & refined to down & dirty. Since 1996, her photographs have been exhibited numerous times in Connecticut and in New York City, in solo and group shows. Her next exhibition is January 2004 in Berlin, while, at the same time, the accompanying book Lovergirl – a collection of texts exploring the New York sex industry – appears. Additional writing has been published in sources as varied as “Pixelsurgeon,” “Scarlet Letters,” “Clean Sheets,” and “The Journal Of Popular Culture.” One of her recent stories was nominated for Susie Bright’s latest anthology of erotic fiction, and an anthology of her short fiction is scheduled for publication in late 2004.


 

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BULBUL (AUSTRIA) Trost records  www.trost.at/bulbul  

 

BULBUL è un noiserocker austriaco di talento. su questo ononimo disco rinverdisce i fasti dei BIG BLACK d’assalto e squadrati di metà anni ottanta. soprattutto quelli dei primi ep, ma anche un  album monumentale quale songs about fucking, sembrano essere una discreta fonte di ispirazione per il chitarrista. Listen Ok, Yallow sea me, Luna G., Oh Mosquito, aprendo spesso al jammin jazz, seppur contenuto nei recinti assordanti d’ suon madre arcigno, fan si che l’opera risulti godibile anziche tetragona. Se potete immaginare un LP della Chcago di Naked Raygun, Effiges, e Big Black, quasi del tutto mondato dagli insulti vocali e sciolto dai ranghi strumentali serrati a testugine, bene … allora siete pericolosamente vicini allo svelare quel torbido enigma del rumore cui fa fede il nostro BULBUL. (7) Massimo Padalino – Blow Up – NOVEMBRE 2003

Austrias noiserocker extraordinaire Bulbul deliver their masterpiece with the new self titled cd. They came a long, exciting way. It started as a one-man band when Moussi Bucy, outfitted with guitar and drumcomputer, metalplates and vacuum cleaner noise-thunderstorm charmed with melvins-like heavy guitars and a 600g handmade steelcover. The next step was more mellow, accompanied by two fine jazz reeds (of Trio Exklusiv fame) for the live gigs. The wild result of the recent line-up (with FuckheadÕs/Wipe OutÕs ddKern on drums, bassist derhunt and sound-engineer ollmann): mighty, improvisational noise-driven rock. Especially live they mix their energetic songs with howling electronical bits to an overwhelming soundadventure. Special joy for the vinylfreaks: 10 different screen printed covers with – again different colours and backsides. The cd has 10 different covers to choose from, too. The impressing artwork was done by viktor kšnig (schrattenberg) who worked with Bulbul on various projects.

gio 26 feb Trento @ Angy TBC
ven 27 feb Roma / Pescara
sab 28 Faenza @ CALN DESTINO
dom 29 feb Nord TBA
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LIQUID LAUGHTER LOUNGE QUARTET (GERMANIA) Flight 13 / Cargo / Ritchie Records www.lllq.de 

I LLLQ sono una band tedesca, innanzitutto. I LLLQ sono anche una di quelle band che un giorno chissà come, pura casualità, le vai a vedere dal vivo a scatola chiusa. O meglio, a ruota di un flyer assai singolare che li aveva definiti come “DavidLynch soundalike”. Che uno pensa, “ma come fa un disco a suonare come un regista?”: sarebbe quantomeno il più bizzarro fenomeno sinestetico pensabile. Soprattutto, mi ricordo di aver rimuginato “dopo Amore Del Tropico voglio proprio vedere come si organizzano questi qui…”.[ … ] Sicchè d’ improvviso questi LLLQ, questi crucchi, hanno iniziato a suonare. Il set lo ricordo come molto particolare: tantissimi strumenti, chitarra contrabbasso percussioni sintetizzatore molto altro; vocalist con il microfono illuminato, primissimo dei richiami agli intenti del già citato flyer (non so se il lettore ricorda la scena di Blue Velvet in cui Dean Stockwell canta in una lampada…); tempistica morbosamente dilatata, infinitamente dilatata, liquida. Manco a farlo apposta. Ed io lì, perso nella musica sin dalla prima nota, a speculare su ciò che stavo ascoltando. Tant’è che pochi giorni dopo sono riuscito a procurarmi tutta la discografia del gruppo in questione e l’ ho passata in rassegna tre volte. Se mi chiedete “perchè tre?” io ovviamente non so rispondere. Così. Uno mica deve avere sempre tutti i perchè, nella vita. Ho comunque appurato che l’ album migliore (la band ha alle spalle tre full lenght, qualche singolo ed il dieci pollici del quale si pretende di parlare qui) è quello “rosso”, il self titled. Del quale però non vale la pena narrarvi, poichè l’ ultimo lavoro in studio è “Was the pleasure…”, (e noi qui si tenta nei limiti del possibile di occuparci solo di roba nuova), che è anche la cosa più “sperimentale” creata dalla band durante la sua carriera, sebbene tutti i tratti distintivi essenziali delle precedenti produzioni siano anche qui sotto perfetta luce. I LLLQ sono grossomodo un gruppo ossessivo e nella musica e nel pensiero. Le loro storie sono noir, omicidi, amori malati, apparato concettuale vagamente deviante, “surrealismo americano” (ancora Blue Velvet). Dico questo nella piena coscienza di quanto sia forzato aggettivare con “americana” la proposta sonora di una band crucca, e dunque più europea tra le europee; e me ne frego anche, se vogliamo fare i pignoli, poichè è semplicemente così che stanno le cose. Nella musica dei LLLQ trovano il loro posto tutte le idee che sono state, prima di chiunque, di Angelo Badalamenti, una per una capillarmente, muovendo dalle chitarre surf per giungere agli slow fumosi di cui presumo tutti sappiamo, sempre all’ interno del grande disegno di straniamento sensoriale (di cui presumo tutti sappiamo) che è poi quello che ci si dovrebbe sentire in grado di definire come “abituale” con riguardo al grande compositore. Badalamenti, non i crucchi. Il nuovo diecipollici dei LLLQ è dunque più che altro tutto questo, anche se in una forma che ambisce ad essere new edition se così si può dire, e che mantiene fermi i presupposti e vi fa ruotare attorno songwriting e paranoie del caso. Bisogna aggiungere che quando, come si assume, contano più le suggestioni della musica di per sè – che qui non è il messaggio pur essendo il medium – al voler ottenere il clima desiderato cooperano partiture assai differenti tra loro, che arrivano ad avere in comune la lentezza e poco altro quando non si voglia usare come unico termine coagulante quello di “atmosfera”; che appunto è sempre la stessa. “Was the pleasure…” propone infatti anarchicamente e con eccessivo coraggio un piatto assai misto: blues, surf, ballate, nenie, qualche volta addirittura psychobilly… lo psychobilly di un quarantacinque giri fatto girare a trentatrè, per essere precisi. Se mi si dovesse chiedere cosa penso del risultato finale, non esiterei a sottolineare in prima battuta come la band riesca a perseguire esattamente quello che vuole, di traccia in traccia sistematicamente. Ma sul valore musicale, o anche sull’ innovatività del lavoro (che poi sono molto spesso due facce della stessa medaglia), conservo ancora – a buon diritto – qualche piccola riserva. Credo che la cosa più ovvia da fare sia indicare i LLLQ a chiunque cerchi musica ambientale che funga da adeguato sottofondo alle proprie inquietudini; al contrario, tutti coloro che antepongono la lucidità critica alla paradigmatica figura del nano che balla dinanzi ad un fondale di tende rosse, preferiranno senz’ altro dirigersi altrove. (STEWEY’S STAR #4 – Giordano Simoncini)

(David Lynch like sounds with rockabilly, blues) “The Liquid Laughter Lounge Quartet plays cocktail music, a bitter-sweet liquid concoction that sticks in your throat leaving an aftertaste that is somewhere between pretty and pretty ugly. These four gentlemen of Freiburg borrow, alienate and counterfeit country and western, Rockabilly, an immense blues rendered with austere arrangements and an emotive and often hysterical voice. Anyone who finds themselves thinking about David Lynch films has hit the nail squarely on the head. With upright bass, drums. guitar a voice and a suitcase stuffed with sounds, Liquid Laughter Lounge Quartet are just as much a part of the furniture as the dilapidated sofa in the corner at The Heartbreak Hotel. And, the music matches the decor: pretty but also quick to unsettle and in places somewhat divergent and diffused, its contours washed smooth in deep swathes of red and blue. Ghosts whisper to rockabilly skeletons; this sotto voce country and western accompanied by a besotted Brian Ferryesque refrain. The far-flung and two-left-footed tango receives a jolt and a wry blues shuffle is danced until the glasses become stuck to the tabletops. The ice has long melted and the drink now tastes more bitter than sweet- just like the memories. Lyrics about angels, drugs, strange neighbours, forgetting and disappearance are morbid yet tender. The songs often hang in the air in much the same way a photograph from better days hangs on the wall.”

gio 08 aprile Trento @ Angy Pub TBC
ven 09 aprile Venezia / Treviso TBC
sab 10 aprile Faenza @ clan destino TBC
dom 11 aprile Pescara @ TBA
lun 12 aprile TBA/DAY-OFF
mar 13 aprile SICILIA @ TBA
mer 14 aprile SICILIA @ TBA
gio 15 aprile SICILIA @ TBA
ven 16 aprile BARI @ TBA
sab 17 aprile Roma / Monza @ Libreria Acustica TBA/TBC
dom 10 aprile  Monza TBA/TBC

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THE PLAYWRIGHTS (U.K.) Rock su SINK AND STOVE recs BELGIO www.theplaywrights.co.uk

Sono di Bristol, UK, Sono  Aaron Dewey e Benjamin Shillabeer. Suonano un maestoso e angolare art-rock con una forte impronta pop. Il Settembre  2003 ha visto uscire il loro terzo singolo intitolato ‘the national missing person’ dal loro debut album ‘good beneath the radar’. Nelle loro influenze si ritovano “the smiths, the cure, the auteurs, xtc, talking heads, pixies, pavement, fugazi, tortoise, hood, the sea and cake”. In una scura quanto ottimistica collezione di melodiche ma sperimentali  chitarre pop,
paragonate ai contemporanei  interpol, british sea power, karate, q and not u, the delgados, pinback, the notwist and radio 4. ‘good beneath the radar’  è stato universalmente acclamato dalla critica e incluso nel “John Peel’s pick of the month.” Peel ha anche premiato il primo singolo della band come ‘television in other cities’

08 april fano @ bachelor
11 april monza (mi) @ libreria custica
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NEPTUNE (USA) Art Rock Sculpture from Boston – Mister Records http://www.neptuneband.com ad Aprile
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U.S. MAPLE (USA) Ruminance / WIDE tour europeo a Maggio
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ON (USA/FRANCIA) DSA
12 Maggio @ Monza (MI) – LIBRERIA ACUSTICA
13 Maggio @ Ferrara – MUSARC
Steven Hess -Chicago- Batteria
Sylvain Chauveau -Parigi- Chitarra

Ennesimo progetto per Sylvain Chauveau (Arca, Micro:Mega), l’artista francese della FAT CAT RECORDS, pubblica su DSA (Disc de les Soil et de L’Acier) un disco di calma improvvisazione con il percussionista americano Steven Hess (Chicago). Il nome collettivo del gruppo sarà ON e il progetto sarà missato da Helge Sten (Deathprod, Supersilent). Un nuovo tour per presentare il progetto partirà dagli STATI UNITI in Primavera e approderà in europa verso Aprile Maggio 2004.

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MONKEY ISLAND (U.K.) + ALMANDINO QUITE DELUXE (ITA) LUGLIO 2004

Garage punk blues, r’n’r surf psichedelico con ex membri di CUT e SLIM. I Monkey Island hanno pubblicato il loro debut album “More Pawns … To the Monkey God of Rock’n’Roll” nel 1996. Suonato, registrato e mixato in 13 ore, il disco fu immediatamente accolto come un classico del garage punk sia dalla stampa mainstream che underground: Metal Hammer disse “Dio buono .. grazie …” e li salutava con il loro giudizio massimo di 5 stelle. “Punk Blues carnage from the best live band in the U.K.” Stevie Chick (Kerrang, NME). L’ultimo singolo “Mussolini’s Teaspooms” è stato “Singolo della Settimana” del The Guardian e commentato: “London bests kept secret” (Sleaze Nation). Il loro stile non è atichettabile, è unico, ma sicuramente nelle loro canzoni si possono sentire John Spencer, Thee Headcoats, Black Flag, Fugazi, AC/DC, The Fall and The Bad Seeds. La verità è che il loro suono non è simile a nessuna di queste band … i Monkey Island hanno costruito da soli la propria reputazione, centinaia di concerti, due album incendiari, sei singoli memorabili….

http://stage.vitaminic.it/main/almandino_quite_deluxe